I libri seri non istruiscono, interrogano. Nicolás Gómez Dávila Il 2020 è un anno che, nostro malgrado, ricorderemo per sempre. Complicato sotto tutti i punti di vista: sanitario, economico e psicologico. Tutti noi non vediamo l'ora che finisca e la buona notizia è che, oramai, siamo agli sgoccioli. Si chiude un decennio e ne inizia un altro. Il 2021 è alle porte e ci auguriamo di trovare la serenità che tanto desideriamo dopo mesi difficili. Nonostante tutto, ho trovato un lato positivo in questo 2020. È stato l'anno in cui ho letto più libri in assoluto. Certo, ne avrei potuti leggere molto di più, ma non è questo il punto (ovviamente non ti nascondo che il mio obiettivo è aumentare il numero dei libri letti ogni anno). Il tema fondamentale è ricordarsi cosa ha lasciato un libro, quanto ci ha aperto la mente e quante domande ci siamo posti dopo averlo finito. L'ho detto tante volte, ma ribadirlo non fa male ed è il motivo per cui continuo a comprare libri. Riporto la frase che ho inserito all'inizio dell'articolo: "I libri seri non istruiscono, interrogano." Nicolás Gómez Dávila Quando non so qualcosa, compro un libro. Più leggo di uno specifico argomento che voglio approfondire e più mi rendo conto di saperne sempre poco e ne compro altri per entrare sempre più nei dettagli (a tal proposito ho scritto un articolo "Il processo della conoscenza è come un albero"). Il tempo è prezioso e i frutti si raccolgono nel lungo periodo. Ammetto che in questi ultimi mesi ho avuto poco tempo per aggiornare il blog (principalmente gli articoli), ma noto con piacere che il traffico è sempre costante pur non facendo nessuna campagna SEO, Google apprezza i miei contenuti (tutti originali e scritti da me) e migliaia di visite arrivano direttamente dai motori di ricerca o da chi digita il direttamente il sito Chi reads. Le restanti provengono anche da Linkedin (ps. se non segui la pagina, unisciti pure). Bando alle ciance. Come promesso, ho linkato (quasi) tutte le recensioni dei libri che ho letto, i cui generi sono molto variegati e le cui scelte dipendono dal mio livello di concentrazione, dai momenti della giornata in cui leggo, dai periodi sento il bisogno di sfogliare qualcosa di più leggero o altri in cui decido di immergermi in temi specifici, alcuni molto tecnici. Difatti, troverai testi di marketing, crescita personale, business, vendita, saggi ecc. Spoiler. Il libro che in assoluto ho apprezzato di più quest'anno, è "L'arte di correre" di Haruki Murakami. Mi ha davvero emozionato e mi ha fatto rivivere tutto il mio spirito sportivo, di cui ne faccio una filosofia di vita. Fare una mezza maratona e poi, chissà, una maratona intera è il mio obiettivo futuro. Ecco la lista, anche se alcuni probabilmente li avrai già consultati in questi mesi: 1. "Innovare davvero" di Alf Rehn 2. "Human-Centric Marketing" di Matteo Rinaldi 3. "Ballando con l'Apocalisse" di Andrea Fontana 4. "Il monaco che vendette la sua Ferrari" di Robin S. Sharma 5. "L'arte della lentezza" di Véronique Aïache 6. "L'One minute manager" di Ken Blanchard, William Oncken e Hal Burrows 7. "50 segreti della scienza della persuasione" di J. Goldstein, J. Martin, B. Cialdini 8. "Chi ha spostato il mio formaggio? Il seguito" di Spencer Johnson 9. "L'arte della vittoria" di Phil Knight 10. "Dimmi chi sei" di Riccardo Scandellari 11. "L'arte di correre" di Haruki Murakami 12. "La guerra del marketing" di Al Ries & Jack Trout 13. "Il pensiero obliquo" di John Kay 14. "Il Cigno nero" di Nassim Taleb 15. "Il vicolo cieco" di Seth Godin 16. "Le 7 regole per avere successo" di Stephen R. Covey 17. "Vendere di più con l'intelligenza emotiva" di Colleen Stanley 18. "Strategie e tecniche di Marketing Automation" di Giulio Colnaghi (recensione in arrivo) 19. "Uccidi il Marketing" di Joe Pulizzi e Robert Rose (recensione in arrivo) Cosa vuoi fare adesso? Consulta la mia libreria digitale oppure raccontami qualcosa di te. Curioso per natura, sportivo dalla nascita e testardo per origini. Leggo per crescere e per esplorare nuovi mondi. Amo il marketing, la vendita, il calcio e i viaggi. Adoro i Simpson e sono un divoratore di serie tv. Odio il piccante, la 'nduja, la cipolla e l'aglio. E per questo mi definiscono un calabrese atipico. Ogni libro è un viaggio, e l’unico bagaglio che portiamo con noi è l’immaginazione. Quando preparerai la tua valigia? Hai già deciso la tua destinazione estiva? Non importa dove andrai e per quanto tempo potrai realmente staccare la spina, l'importante è portare con te dei libri che allieteranno i tuoi momenti di relax. Hai già deciso quali? Se la risposta è “no”, ho cinque consigli per te. Qualora, invece, la risposta fosse “sì”, sappi che c'è sempre spazio per nuovi libri! Che sia al mare, in montagna o in qualsiasi altra destinazione tu decida di trascorre le vacanze, i libri non possono mancare. Ci fanno viaggiare con la mente, aprono nuovi orizzonti e ci permettono di evolvere il nostro modo di pensare. Sappiamo tutti che non sarà un'estate come le altre. Il periodo che abbiamo vissuto - principalmente durante i mesi di chiusura totale - lascia ancora degli strascichi mentali e comportamentali. Ma abbiamo (quasi totalmente) riconquistato la libertà e la nostra routine. Anche se la battaglia non è ancora finita. Mai come quest'anno avremo bisogno di vivere all'aperto, di goderci la natura, assieme a familiari e amici. Cosa c'è di meglio di una mente rilassata e di (almeno) un libro in cui immergersi? Il tempo per farlo non ci mancherà di sicuro. A tal proposito, ho selezionato alcuni libri, a mio modo di vedere, molto interessanti. Alcuni dei quali sono freschi di stampa, mentre altri li reputo indicati per il periodo storico che stiamo vivendo. Scoprirai il perché nelle prossime righe. 1 - "Neurobranding" di Mariano Diotto new Mariano Diotto è un noto brand strategist, neuromarketing expert, docente universitario e fondatore della Laurea Magistrale in "Web marketing & Digital comunication", nonché autore di diversi libri. Ho avuto modo di seguirlo in questi mesi, in occasione di dirette e in vari articoli da lui pubblicati sul tema del neurobranding. Risultato? Ho deciso di acquistare il libro perché si tratta di un argomento che mi affascina molto. Con "Neurobranding", Diotto intende accompagnare il lettore nella creazione di un neurobrand, cioè di una strategia di comunicazione, advertising e marketing per un brand basandoti sui principi del neuromarketing. Il neurobranding è quell’attività di posizionamento di un prodotto o di un servizio nel cervello di un cliente attraverso le tecniche di neuromarketing. Si va dalla creatività, alla fase progettuale, all’advertising, alla strategia marketing e di brand positioning, utilizzando i principi delle neuroscienze per comunicare al meglio ai consumatori l’identità di marca di un brand e per modellare il comportamento degli acquirenti attraverso gli archetipi, i bias cognitivi, le emozioni e il contesto comunicativo. 2 - "Ribalta il copione" di Oren Klaff new Oren Klaff è un esperto di vendita, noto al pubblico per il libro "Pitch anything". Da qualche mese sono iscritto alla sua newsletter e leggo spesso i suoi preziosi contenuti. In questo nuovo libro, Klaff insegna come ribaltare gli schemi e la percezione dell'interlocutore in modo da impiantare nella sua mente l'idea che siamo i più grandi esperti e i migliori professionisti a cui potrebbe rivolgersi. Grazie a poche semplici tecniche (come il Flash Roll o l'Allineamento di status) eseguite con metodo e al momento giusto, potrete creare il terreno ideale affinché le persone con cui state cercando di chiudere l'accordo si convincano che siete l'unica soluzione a tutti i loro problemi. 3 - "La scienza delle interazioni umane" di Paolo Borzacchiello e Luca Mazzilli new Paolo Borzacchiello è un consulente e scrittore di diversi libri molto noti, come "La parola magica", "Il super senso" e "Il codice segreto del linguaggio". E' uno dei massimi esperti di intelligenza linguistica applicata al business e divulgatore di tutto ciò che riguarda le interazioni umane e in particolare modo il linguaggio. Seguo il suo profilo Linkedin da diverso tempo e avendo quasi tutti i suoi testi, non poteva mancare l'ultima uscita. Questo libro rivela le scoperte e le tecniche innovative di HCE (Human Connections Engineering), la scienza che studia le variabili coinvolte in ogni interazione umana, e le tecniche per influenzarle. Se vogliamo interagire in modo efficace con noi stessi e con qualsiasi interlocutore, dobbiamo superare le vecchie regole della comunicazione e affidarci allo studio scientifico di variabili come ambiente, stati d'animo, cocktail ormonali, neurosemantica, look, paradigmi cognitivi e così via. Soprattutto, dobbiamo conoscere e studiare come queste variabili interagiscono le une con le altre. Un testo destinato a rivoluzionare qualsiasi approccio precedente e le modalità che utilizziamo per interagire, spesso inconsciamente, con noi stessi e con gli altri, in ufficio, con i clienti o nella vita quotidiana. "Human-Centric Marketing" di Matteo Rinaldi Matteo Rinaldi è professore della Luiss Business School e Partner & Regional Director di Garrison Group e ha lavorato con alcuni dei marchi più famosi al mondo, tra cui Coca-Cola, Danone, L'Oréal, Ikea, VISA, Carrefour, Juventus e tanti altri. Durante il lockdown ho avuto modo di seguire le sue interessantissime lezioni sul marketing, tenute assieme al socio Luca Bertocci. Mi sento di riproporre nuovamente questo libro, in virtù del fatto che l'approccio umano non è più una scelta, ma una necessità. A maggior ragione in un periodo storico come quello attuale e, probabilmente, lo sarà sempre di più nel futuro. "Human-Centric Marketing" è diverso da molti altri libri sul tema, perché affronta il marketing da un punto di vista prettamente umano. Si basa su un approccio che mette realmente al centro le persone, in contrapposizione con la standardizzazione dei consumatori. In questo libro approfondirai concetti legati alla segmentazione del target, alla creazione e allo sviluppo di una strategia di branding, alla modalità di comunicazione in una campagna online e offline e vengono inoltre approfondite un insieme di strategie utili per dare coerenza, continuità e affidabilità ad una marca. Avendolo già letto puoi trovare la recensione qui. "Il pensiero obliquo" di John Kay John Kay è uno dei più importanti economisti inglesi. È stato presidente della London Economics, società di consulenza da lui stesso fondata, e ha insegnato alla London School of Economics e a Oxford. Perché consiglio questo libro? Visti i cambiamenti radicali di questi mesi - alcuni dei quali ancora in atto - siamo obbligati a cambiare anche il nostro approccio alla vita, che coinvolge sia la sfera personale sia quella professionale. Abbiamo bisogno di pensare in maniera diversa e "Il pensiero obliquo" può aiutarci a farlo. Questo saggio ti offrirà una serie di aneddoti ed esempi pratici, basati su fatti storici, eventi legati al mondo economico e finanziario, storie di aziende, arrivando addirittura al calcio e allo spegnimento degli incendi boschivi. John Kay dimostra come le aziende con i maggiori profitti non siano quelle più orientate al profitto, come le persone più ricche non siano quelle più attaccate ai soldi, e le più felici non necessariamente quelle che cercano ad ogni costo la felicità. Il mondo in cui viviamo è complesso e un approccio diretto non può essere (sempre) la soluzione per prevedere o immaginare l'andamento del futuro. La strada migliore è il pensiero obliquo che, talvolta, ci porta in maniera indiretta ad una soluzione diretta. Vuoi approfondire? Leggi la recensione qui. Se nessuno di questi ti ha convinto pienamente, o nel caso avessi bisogno di altri consigli, consulta la libreria digitale e troverai decine di recensioni. Non mi resta che augurarti una buona estate e una buona lettura! Curioso per natura, sportivo dalla nascita e testardo per origini. Leggo per crescere e per esplorare nuovi mondi. Amo il marketing, la vendita, il calcio e i viaggi. Adoro i Simpson e sono un divoratore di serie tv. Odio il piccante, la 'nduja, la cipolla e l'aglio. E per questo mi definiscono un calabrese atipico. Chiunque smetta di imparare è vecchio, che abbia venti od ottant’anni. Chiunque continua ad imparare resta giovane. La più grande cosa nella vita è mantenere la propria mente giovane. La formazione è il miglior investimento che si possa fare. Bisogna considerare, però, che impatta in maniera considerevole in termini di tempo, con la conseguenza di rinunciare a qualcos'altro, ma soprattutto a livello economico. Ma ne vale davvero la pena investire tempo e denaro in formazione? La risposta è sempre sì, almeno per quanto mi riguarda. La vita, del resto, è sempre una questione di scelte. A maggior ragione, in virtù del periodo storico che stiamo attraversando, la formazione risulta una delle armi necessarie per aggiornare le proprie competenze, quello che in inglese viene chiamato reskilling. Sono, oramai, evidenti i cambiamenti tecnologici e adattarsi non è più una scelta, ma un obbligo per sopravvivere. Il "costo" della formazione continua Se stai leggendo questo articolo e se conosci già il blog, sai quanta importanza pongo alla formazione, all'aggiornamento professionale e alla crescita personale. Sono certo che anche tu sia della stessa opinione, altrimenti non avresti neanche iniziato a leggere queste righe. In caso contrario, ti consiglio di proseguire la lettura, anche solo per farti un'idea. Se dovessi fare un conto di quanto ho speso in formazione (corsi, libri, webinar e simili), probabilmente mi sorprenderei parecchio (più di quanto possa immaginare) e senza questi investimenti, il mio portafoglio ringrazierebbe. Ma nella scala gerarchica delle mie priorità, è certamente tra le prime posizioni (dopo famiglia, benessere e spese di sopravvivenza) e lo sarà sempre. Il punto è che i benefici sono impagabili. Basta poco per renderci conto che ogni euro speso nella nostra formazione - includendo la crescita personale - è un investimento su noi stessi. A mio modo di vedere, il costo che noi attribuiamo all'aggiornamento, è direttamente proporzionale al valore che diamo alla nostra persona. Il marketing ci insegna che il valore che diamo a qualcosa a cui teniamo non dipende mai dal prezzo, di cui spesso ce ne dimentichiamo - un po' come facciamo con i nostri brand preferiti - ma a cosa siamo disposti a rinunciare pur di ottenerlo. E' sempre una questione di scelte personali, opinabili o meno, ma di questo si tratta. La formazione accresce la nostra cultura - personale e professionale - allarga le nostre menti, alimenta la nostra creatività, impatta fortemente sulla nostra crescita e, ultimo non per importanza, ci permette di contaminare le nostre conoscenze e valutare tutto da prospettive diverse. Mi riferisco alla capacità di osservare e analizzare, fortemente legata al nostro mindset e alla nostra visione. Tutti siamo capace di guardare qualcosa, ma ognuno ha la propria interpretazione e una visione personale, in base al proprio background, alla cultura o al carattere. “L'occhio vede solo ciò che la mente è preparata a comprendere.” Henri Louis Bergson La differenza tra guardare e osservare, è proprio la perfetta sintesi dei concetti appena riportati. La curiosità, pertanto, è il motore che ci permette di poter continuare ad avere fame di conoscenza e di non smettere mai di aggiornarci. Non per gli altri, ma per noi stessi. Un'indagine sull'importanza formazione Secondo un'indagine realizzata da InfoJobs, la formazione risulta essere un elemento essenziale sia per le aziende che per i dipendenti, soprattutto post-Covid. Sono emersi i seguenti dati: - Il 52% delle aziende intervistate, ha dichiarato di aver offerto ai propri dipendenti corsi online; - Il 48% afferma di aver trasformato i corsi previsti in forma online, dimostrando una pronta capacità di adeguamento alle necessità contingenti; - Pertanto il 20% aveva già consolidato un sistema di e-learning prima della pandemia; - Il 16% delle aziende ha invece attivato ex-novo opportunità su competenze hard e soft per permettere ai dipendenti di investire sulla formazione, nonostante la situazione del paese. Sono molti i lavoratori che hanno deciso di approfittare del “tempo sospeso” appena trascorso per investire autonomamente in formazione (55%), per migliorare le proprie competenze tecniche (20%), per potenziare le proprie soft skills (19,6%) ma anche solo per approfondire passioni e interessi (15%). L’e-learning rispetto alla formazione tradizionale ha registrato un 55% vs 44%. I più propensi alla modalità a distanza ravvisano in essa soprattutto la possibilità di usufruire dei corsi in ogni momento (32,6%) e la comodità di evitare gli spostamenti (19%). Concludendo, qualunque sia lo strumento o la modalità, che sia la lettura, un webinar, un master, una rivista, l'importante è dedicare una parte del proprio tempo e delle proprie risorse economiche da investire nella formazione personale, nei propri interessi e nelle passioni che ci fanno star bene. Non si cresce senza l'apprendimento costante. E smettere di imparare e di tenere la nostra mente allenata, può essere più dannoso di quanto crediamo. Curioso per natura, sportivo dalla nascita e testardo per origini. Leggo per crescere e per esplorare nuovi mondi. Amo il marketing, la vendita, il calcio e i viaggi. Adoro i Simpson e sono un divoratore di serie tv. Odio il piccante, la 'nduja, la cipolla e l'aglio. E per questo mi definiscono un calabrese atipico. Semina un pensiero e raccoglierai un’azione, semina un’azione e raccoglierai un’abitudine, semina un’abitudine e raccoglierai un carattere,semina un carattere e raccoglierai un destino. Quante volte abbiamo sentito questa parola: passione. A volte si finisce per chiamarla vocazione e, in rarissimi casi, coincide con la propria attività lavorativa. Ma non è questo il punto dell’articolo. Vorrei centrare il discorso sulle passioni più profonde, quelle che ci contraddistinguono come persone, prima che come professionisti. Del resto, quante volte ci capita di parlare con qualcuno che parla del proprio lavoro con poco trasporto, magari come molti lo fa solo per portare la pagnotta a casa, ma quando parla dei propri hobbies, gli si illuminano gli occhi. Te ne sei mai accorto? Qual è la tua passione? Personalmente l’ho notato anche durante il periodo appena trascorso, visionando diversi webinar, sono emersi i lati più umani delle persone. Superata la barriera del “che lavoro fai”, ho assistito ad interessantissime chiacchierate sulle proprie passioni. Medesimo discorso vale quando parlo con amici, conoscenti o addirittura con persone che conosco appena e improvvisamente ci si racconta le proprie passioni. In quest’ultimo caso, capita raramente, ma capita. C’è un qualcosa di magico nel modo in cui vengono esposte reciprocamente. Lo trovo un argomento poco valorizzato. Anzi, per molti è una vera e propria perdita di tempo. Non sanno cosa si perdono. Sarebbe bello parlare con una persona e chiedergli, prima di sapere che lavoro fa: “Qual è la tua passione più grande?” “Se davvero vuoi sapere qual è il tuo destino, guarda come spendi il tuo tempo.” Mark Cuban Cosa ti spinge ad alzarci la mattina? Come spendi il tuo tempo libero? Cosa faresti gratis e rinunciando a qualsiasi cosa? Cosa faresti se fossi padrone della tua vita e dovessi decidere come impiegare le tue giornate? Sono domande complicate, ne sono consapevole. Ma è tutto qui. Il lavoro è, per ovvi motivi, il motore delle nostre vite e farlo con piacere, aumenta considerevolmente la nostra soddisfazione personale. Io ammetto di essere tra quelli che fa quello che ama, lavorando nel mondo dello sport e approcciandomi a persone e professionisti in un ambiente che mi rappresenta pienamente. Ma questo, pur essendo in tema, esula dal discorso, pur essendo la mia principale passione. Mi spiego. Personalmente ho tante passioni. Questo blog ne è la prova lampante. Ma sono tutte riconducibili a quattro caratteristiche personali che mi contraddistinguono: curiosità, passione, auto-disciplina e tendenza al miglioramento costante. Per cui, questi lati del mio carattere abbracciano lo sport, così come la mia “fame” di libri e di marketing. Ma basta parlare di me. La passione è il completamento della propria esistenza e averne più di una, non fa che potenziare la nostra creatività, definisce le nostre abitudini e quindi il nostro carattere. Ma non solo. Ci sentiamo utili e mettiamo in pratica alcune azioni, in maniera del tutto libera, senza alcun vincolo. La nostra vita come un puzzle. Immaginiamo che la nostra vita sia un puzzle. Ovviamente il maggior numero di pezzi rappresenta la famiglia, i nostri valori e le persone più care a cui teniamo. I nostri pilastri. Però, ci rendiamo conto che mancano alcuni pezzi per completarlo. Che rappresentano noi stessi, le nostre passioni e il nostro benessere psico-fisico. Si tratta di tanti piccoli pezzettini che ci permettono di finirlo e di renderci soddisfatti. Ecco, senza quei pezzetti, a mio parere, siamo incompleti. Tutti noi dovremmo avere almeno una passione: che sia leggere, suonare uno strumento, andare a funghi o a pesca, scrivere, cucire, fare sport ecc. Il lavoro dice cosa facciamo, la passione chi siamo davvero. Chi non ha una passione è una persona vuota (non è insulto, ma la verità), oppure ancora non l’ha scoperta/e. E non c’è un’età. Questo è il bello. “Non piegarla, non annacquarla; non cercare di farla sembrare logica, non cambiare la tua propria anima seguendo la moda. Piuttosto, segui spietatamente le tue più intense ossessioni.” Franz Kafka Le passioni vanno alimentate, mai represse. Perché nasconderle? Perché quando siamo piccoli non ci insegnano a coltivare una passione, non tanto per renderla per forza una professione, ma per soddisfare una nostra esigenza o un nostro bisogno quasi incontrollabile. Io mi ritengo fortunato perché la mia famiglia mi/ci ha sempre supportati nel perseguire le nostre passioni, indicandoci però, la strada più corretta, più onesta e più meritocratica. Quando credevo che mio padre facesse il falegname. Quand’ero piccolo, credo alle elementari, ho dovuto eseguire un tema con la seguente traccia: “Che lavoro fa tuo padre?”. Mio papà ha sempre lavorato nel reparto amministrativo, come impiegato, ma io a quei tempi ero convinto facesse il falegname! Tant'è che anche gli insegnanti, dopo aver letto questa affermazione, si erano convinti che fosse un falegname. Questo perché ha sempre creato, costruito, disfatto e ricreato, mobili, scrivanie, librerie, tavoli, armadi e via dicendo. Lo vedevo sempre impegnato con i suoi attrezzi da lavoro. Lo ha sempre fatto come hobby, appunto. Ma ha sempre coltivato la sua passione e lo fa tutt’oggi. Questa piccola storia è per concludere questo articolo che mi premeva scrivere da tempo. Quali sono, invece, le tue passioni? Intanto, provo a rispondere io stesso alla domanda, che se sei qui, di sicuro ne abbiamo due in comune: quella per la lettura e per la crescita personale. Curioso per natura, sportivo dalla nascita e testardo per origini. Leggo per crescere e per esplorare nuovi mondi. Amo il marketing, la vendita, il calcio e i viaggi. Adoro i Simpson e sono un divoratore di serie tv. Odio il piccante, la 'nduja, la cipolla e l'aglio. E per questo mi definiscono un calabrese atipico. La velocità è la forma di estasi che la rivoluzione tecnologica ha regalato all'uomo. Milan Kundera Siamo nell'era del tutto e subito. Su questo non ci sono dubbi. Ma siamo sicuri che "fast is better than slow"? Abbiamo voluto internet veloce (è in arrivo il 5G), treni veloci, strumenti di comunicazione sempre più istantanei e di conseguenza il nostro cervello si è adattato a questa andatura. Ci sono tantissime ragioni per cui tutto ciò è positivo per il progresso e per risolvere sempre più problemi nel più breve tempo possibile. Ma ce ne sono tante altre, meno tangibili, per cui la velocità non è la miglior soluzione. "La fretta è cattiva consigliera", ci dicevano in nostri nonni. Ci dicono che bisogna essere multitasking per essere produttivi e c'è invece chi afferma l'esatto contrario, ovvero che si tratta di un modo per disperdere energie e eseguire lavori con poca accuratezza. Senza dubbio, è il miglior sistema per sottoporre il nostro cervello ad un carico cognitivo sempre più pesante. La fretta è la conseguenza naturale di un bisogno collettivo che richiede continue informazioni, magari proprio utilizzando più device contemporaneamente, dovuto all'ansia di non voler perdersi nulla. Questo ha un nome e si chiama FOMO (Fear of Missing Out). Le nuove generazioni - e non solo - sono l'emblema di questo approccio. Sono sempre più veloci e fanno di questa caratteristica, quasi, una ragione di vita. Lo conferma il successo sempre più esponenziale di social network e app varie oggettivamente basate sull'istantaneità, come Instagram, Snapchat, Tinder, Tik Tok e simili. I teenager si nutrono di velocità e ne richiedono sempre di più. Ogni giorno, ogni attimo. Ciò che non è veloce diventa secondario e non degno di nota. E la pazienza pare non essere più un dono, ma un difetto. Di conseguenza molte aziende si sono adattate ai "nuovi" consumatori veloci e a un mondo iperconesso, mentre altre hanno deciso di intraprendere una strada più lenta, ma efficace, basata su radici solide. Si costruiscono brand o castelli di carta? Il concetto di brand, proprio per definizione, si sposa perfettamente con i concetti di lentezza e pazienza. "Roma non fu fatta di giorno". Lo stesso vale per le aziende. Ci vuole tempo per costruire una marchio di valore, che possa esprimere fiducia, autenticità e coerenza. Il posizionamento del brand, in primis, permette di iniziare a creare le radici e le attività di branding e di marketing poi, sono i passaggi indispensabili (non di certo gli unici) per alimentare un processo di crescita e per creare realtà solide, durature e ovviamente redditizie. Una volta che il brand è forte, allora sì che può permettersi di essere "fast" nel mercato, proprio per allenare l'agilità, fattore indispensabile per mantenersi in vita e per innovare costantemente. Oggi, però, il concetto di "fast" è divenuto il modus operandi per eccellenza, a priori. Nella maggior parte dei casi viene definito il modo ideale per raggiungere obiettivi tangibili nel modo più rapido possibile, a scapito della qualità. Si mettono in atto delle tattiche incredibili, che a monte non sono supportate da brand forti. Si potrebbe definire l'era della lead generation, più che della costruzione di valore. Tante promesse, alcune delle quali false, per generare denaro veloce e contatti. Il web è affollato di false promesse e di offerte incredibili: "Clicca qui e scoprirai come perdere 30 kg in mese (basta digiunare)" "Come guadagnare un milione di euro rimanendo comodo sul tuo divano" "Come raddoppiare il fatturato della tua azienda in 2 settimane" "Il funnel che che improvvisamente porterà SUBITO 1000 clienti in azienda" "La crema che ti farà diventare bello come Brad Pitt" "IL METODO CASA DI CARTA: l'unico sistema per generare soldi" "Fare promesse e mantenerle è un ottimo metodo per costruire un brand" ha scritto Seth Godin in "Questo è il marketing". Come dagli torto. Il "fast" nel mondo fashion Il mondo della moda sta subendo dei cambiamenti a dir poco epocali. Proprio qualche settimana fa, in seguito alle parole di Armani, rimasi colpito dal coraggio con cui ha preso le distanze da un approccio che, oramai, oserei definire consolidato nella mente di noi consumatori. A cosa mi riferisco? Al fatto che tutti noi siamo abituati ad acquistare in note catene che negli ultimi anni hanno cambiato le dinamiche del mondo della moda. Senza fare nomi, in questi negozi non è difficile trovare costantemente capi di diverse stagioni e, inoltre, di mese in mese scoprire sempre nuovi prodotti, con allestimenti che cambiano di settimana in settimana. Se non di giorno in giorno. Giorgio Armani ha analizzato proprio questo aspetto: “il lusso non può e non deve essere veloce”, perché “il lusso ha bisogno di tempo per essere raggiunto e apprezzato. Trovo assurdo che, in pieno inverno, si possano trovare nei negozi solo abiti di lino, e cappotti in alpaca d’estate, per il semplice fatto che il desiderio di acquistare deve essere soddisfatto”. Infine, conclude con una frase preziosa: “Questa crisi è un’opportunità anche per ridare valore all’autenticità." A ruota, dopo qualche settimana, si è espresso anche il direttore creativo di Gucci, Alessandro Michele: "Questo luogo che noi chiamiamo terra, ci ha richiamati all’ordine. In tempo di lockdown mi sono reso conto che siamo andati fuori misura: il ritmo di produzione è diventato insostenibile.” Riassumendo, emergono tre parole che danno significato ad un nuovo approccio che può davvero cambiare gli equilibri, non solo della moda, ma di tutto il sistema produttivo mondiale: rallentare, sostenibilità e autenticità. In questi mesi abbiamo assistito a pubblicità che raccontavano i valori (reali o meno) delle marche: made in Italy, sostenibilità, fiducia, sicurezza, autenticità, qualità e via dicendo. Se all'inizio del lockdown si trattava di ottime iniziative isolate di alcune aziende, nelle settimane successive molte altre si sono adattate, creando dei veri e propri "copia-incolla", in molti casi nemmeno in linea con la reale purpose dell'azienda. Nonostante, ultimamente la qualità dello storytelling dei brand si sia un po' appiattito, c'è una necessità, piuttosto evidente, di voler riabbracciare i valori intangibili di una volta e di soddisfare, prima di tutto, i bisogni primari. Per concludere, scomodo nuovamente Godin: “Interagite con la cultura, siate coerenti e pazienti”. Cosa vuoi fare adesso? Consultare le ultime recensioni. Leggere gli ultimi articoli del blog. Curioso per natura, sportivo dalla nascita e testardo per origini. Leggo per crescere e per esplorare nuovi mondi. Amo il marketing, la vendita, il calcio e i viaggi. Adoro i Simpson e sono un divoratore di serie tv. Odio il piccante, la 'nduja, la cipolla e l'aglio. E per questo mi definiscono un calabrese atipico. Questo non è propriamente un articolo, ma uno spazio tutto tuo. Lo capirai tra poche righe. Chi reads è una missione. Il mio "luogo" preferito dove consigliare e invogliare a leggere qualche libro recensito e affrontare le tematiche che più m'interessano e che spero suscitino la curiosità di alcune persone. Pensa che un mio caro amico, oramai diverso tempo fa, mi disse: "Leggi libri strani!". Beh, quel giorno ho capito di aver preso la strada più corretta. Chi reads, appunto, non è nato per piacere a tutti, in quanto si rivolge ad una nicchia e tratta argomenti specifici. E non ho nessun interesse nel pagare campagne sponsorizzate sui vari social per aumentare il traffico a dismisura. Con Google Analytics si può sapere tutto (età, città, frequenza di rimbalzo, nuove visite, provenienza dei click ecc.), ma in realtà non si conosce proprio niente a livello qualitativo. Pensa che ho iniziato a conoscere alcune persone proprio confrontandomi e scambiando piacevoli chiacchierate (in privato) o anche solo tramite semplici scambi di opinioni nei commenti dei post. Poi ovviamente ci sono persone che leggono il sito, che conosco da anni o addirittura da decenni, ma questa è un'altra storia. Ma quello che so non è sufficiente, non mi basta e vorrei avere queste informazioni direttamente da te! Ecco perché preparato alcune SEMPLICISSIME domande per scoprire nel dettaglio cosa ti piace, cosa fai, quanti libri leggi, qual è il tuo preferito, come e quando sei venuto a conoscenza del blog e cosa apprezzi o meno. In alcune domande puoi anche rispondere scrivendo liberamente e senza contegno. Puoi anche sentirti libero di mandarmi a quel paese, non mi offendo :) Adesso scorri in basso e perdi 2 minuti del tuo tempo prezioso. PS. Sii il più brutale possibile! (leggo solo io). Una strategia senza tattiche è il cammino più lento verso la vittoria. Le tattiche senza una strategia sono il clamore prima della sconfitta. Sun Tzu Nell'ultimo articolo (link come sempre in fondo) ho riportato un concetto di Alf Rehn su come l'innovazione rischia di essere obsoleta, quasi insignificante. Soprattutto se manca almeno una delle seguenti caratteristiche: - Una cultura digitale (e strategia) a monte; - Uno scopo; - Se non risolve un reale problema; - Se il servizio non è di altissima qualità. Indubbiamente questo è il momento ideale per innovare, per digitalizzare i servizi, al fine di renderli fruibili da tutte le persone, in qualsiasi luogo e in ogni momento: anywhere, anytime. E' evidente che le aziende che si adatteranno più velocemente ai cambiamenti a cui stiamo assistendo, avranno maggiori possibilità di resistere nel lungo periodo. Tutte le piccole, grandi e media imprese, ma anche le attività al dettaglio, ormai, non possono non pianificare una strategia digitale per soddisfare una domanda, da qualche mese non più latente. Uno studio, su un campione di 400 Pmi, ci conferma che la maggior parte delle aziende ne ha compreso l'importanza. Secondo la ricerca #RestartItalia (fonte Millionaire.it) realizzata da Wwworkers, è emerso che la maggior parte degli intervistati (oltre il 70%) pensa che innovazione e digitalizzazione siano gli elementi chiave che hanno permesso alle loro imprese di affrontare l’emergenza. Negli ultimi mesi, molti hanno utilizzato canali di comunicazione e vendita online: social media (87%), e-commerce (39%), chat di WhatsApp, Telegram, Facebook Messenger (32%), video su YouTube (16%) o in live streaming (32%). Qualcuno ha fatto ricorso anche a realtà virtuale (2%) e gamification (1%). Il tema principale però, oltre al timing, è sempre il "come". La cosa più semplice è emulare le tattiche di altre aziende, pur di far la guerra ai competitor o di cavalcare l'onda del cambiamento, con il rischio di snaturare la propria missione. Discorso diverso è decidere di pianificare ed attuare strategie, in linea con la vision aziendale, nel breve e nel lungo periodo, adattandosi ai nuovi consumi e alle necessità emerse in questi mesi (lo vedremo nelle prossime righe). Tali strategie coinvolgono, ovviamente, tutti i reparti di un'azienda: dai vertici all'area marketing, dall'IT al reparto vendita. Nuove abitudini, nuove strategie Secondo i dati dell’Osservatorio Multicanalità 2020, realizzato da Nielsen in collaborazione con la business School del Politecnico di Milano (foto in basso), sono emersi 5 aspetti che reputo molto interessanti: 1 - Il 58% di chi ha fatto la spesa online non aveva mai provato questo servizio e ben l’83% di questi dichiara che continuerà a farla anche nel post-Covid; 2 - Lo smart working è stato testato per la prima volta dal 53% e l’80% di essi dichiara che continuerà a farlo al termine dell'emergenza; 3 - Le scommesse e i casinò online dal 33% e l’89% continuerà a farlo; 4 -I preventivi RC auto usati per la prima volta dal 31%, con l’85% che continuerà anche in futuro; 5 -Per l’home banking: il 26% lo ha provato per la prima volta e ben il 94% lo farà in futuro. Un numero rilevante di “nuovi utenti digitali” ai quali le banche dovranno offrire maggiori servizi online. "Multicanalità anteprima 2020: il nuovo umanesimo digitale". Fonte Nielsen In sostanza, cambiano le abitudini e cambiano quindi le strategie che le aziende dovranno mettere in atto da qui ai prossimi anni. Stiamo assistendo una rivoluzione epocale che faciliterà (si spera) tante azioni quotidiane, che prima necessitavano di una presenza fisica o di una burocrazia decisamente più lenta. Questo periodo, a mio parere, ci ha fatto comprendere quanto l'arretratezza della digitalizzazione in Italia fosse attribuibile principalmente ad un gap enorme nei servizi offerti dalle Pmi (e non solo), più che un problema attribuibile ai consumatori, quindi ad una mancanza di domanda. Semplicemente si sono manifestate diverse necessità, in un momento di crisi sanitaria, e le aziende si stanno attrezzando per soddisfare sempre più persone, nel miglior modo possibile. Il grafico riportato ci fa comprendere che le abitudini instaurate in questi mesi - dovute sia all'impossibilità di uscire di casa che alla forte accelerazione dei servizi online - si sono già consolidate nella nostra routine e che, difficilmente, ci faranno tornare indietro. Quindi alle vecchie abitudini di acquisto. Adattarsi e innovare è essenziale per non morire oggi. Farlo con una strategia per non morire domani. Cosa vuoi fare adesso? Leggere l'articolo "Il teatrino dell'innovazione". Leggere l'ultima recensione "Innovare davvero". Curioso per natura, sportivo dalla nascita e testardo per origini. Leggo per crescere e per esplorare nuovi mondi. Amo il marketing, la vendita, il calcio e i viaggi. Adoro i Simpson e sono un divoratore di serie tv. Odio il piccante, la 'nduja, la cipolla e l'aglio. E per questo mi definiscono un calabrese atipico. Quando tutto, ma proprio tutto, si può chiamare innovazione, la parola ha sempre meno significato. Alf Rehn Oggi, a causa dell'emergenza sanitaria del COVID-19, stiamo assistendo, volenti o nolenti, ad un nuovo mutamento. Potremmo dire una rivoluzione silenziosa, ma improvvisa. Quasi brutale. Fino a ieri tutti noi non siamo stati capaci di stare al passo coi tempi, pur avendone la possibilità e tutti gli strumenti per potenziare la nostra cultura digitale (ne avevo parlato nell'articolo "Non è mai troppo tardi", il cui link è in fondo a questo articolo). I periodi di cambiamento, a maggior ragione quelli epocali come quello che stiamo vivendo, sono spesso occasione per ripensare ai propri modelli di business, agli strumenti e ai metodi di lavoro. Ma non solo, anche a semplici modalità per fruire di servizi nell'uso quotidiano. Adesso, (quasi) tutti si stanno adattando, giustamente, alle nuove abitudini e alle necessità emerse durante questo periodo di emergenza. Ma siamo sicuri che tutti abbiano una chiara strategia? La realtà attuale è perfettamente riassunta nella foto dell'articolo. Ispirato dal bellissimo libro "Innovare davvero" (recensione in fondo all'articolo), mi preme approfondire un argomento che, a mio modo di vedere, rappresenta il vero fulcro della situazione. Non solo di oggi, non di domani, ma dei prossimi 10 anni. Nello specifico mi è piaciuto in maniera particolare il modo dell'autore di dare un nome all'innovazione, quella più comune, che spesso non genera progresso, ma solo rumore e confusione. Alf Rehn parla di "teatrino dell'innovazione". Geniale. Da qui una riflessione: non è che, oggi, stiamo assistendo ad un vero e proprio "teatrino dell'innovazione"? In poche righe proverò a dare un significato a questo quesito - che appunto non essendo un'affermazione invita a riflettere - sintetizzando quattro aspetti fondamentali. Primo punto: la cultura aziendale. "La cultura organizzativa si nutre di strategia a colazione, pranzo e cena", diceva Peter Drucker. Come riporta Alf Rehn nel libro cultura viene dal latino "cultus", ovvero "cura" o "coltivazione". Il cui significato si riferisce ad una conoscenza radicata, profonda, di cui si fa quasi da portavoce. La cultura in azienda la si può paragonare alla personalità di una persona: è ciò che caratterizza e determina il resto delle azioni, delle strategie e dei comportamenti. La base di tutto. Ergo, senza una cultura, vera e naturale, difficilmente può nascere qualcosa di innovativo e di realmente utile per le persone. Secondo punto: lo scopo. "Per avere successo, le aziende devono riflettere di meno sull'innovazione in generale, e di più sullo scopo delle loro attività d'innovazione". Se pensiamo a questo periodo, si denota una vera - o presunta - aperture delle aziende alla tecnologia e all'innovazione. Benissimo. Questo, però, è dato dal fatto è che a questo punto è una scelta: innovare o morire (ne ho parlato qui). Diverso è avere uno scopo, una strategia nell'implementare nuovi servizi digitali, piattaforme di ultima generazione e tecnologie che possano davvero aiutare le persone e che possano realmente integrarsi con la natura e il posizionamento delle aziende. Non sarà certo una live su Instagram o una piattaforma video a sancire il successo di un servizio o di un prodotto. Terzo punto: risolvere un reale problema. Questo è un po' il fulcro del libro e dell'articolo. Rehn parla di "innovazioni profonde" e di "innovazioni che risolvono dei non-problemi". Le seconde potrebbero, forse, rappresentare la maggior parte delle iniziative che saranno lanciate nei prossimi, giorni, mesi e anni. Perché quando la direzione è definita (in riferimento alla digitalizzazione), ovviamente come è giusto che sia le aziende si adattano, ma molte di esse senza una strategia o senza determinare un reale impatto sulle persone. L'omologazione appiattisce l'offerta e si rischia di non distinguere più cosa è utile e cosa meno. In un mare di nuove iniziative, emergeranno quelle rivoluzionarie, utili e di altissima qualità. Quest'ultima parola è l'oggetto del prossimo paragrafo. Quarto punto: fornire un servizio di altissima qualità. "Quando tutto, ma proprio tutto, si può chiamare innovazione, la parola ha sempre meno significato". Questa frase mi piace molto. Dal momento che tutti urleranno la loro inclinazione al digitale, e i servizi offerti saranno a migliaia in ogni settore, è evidente che ci sarà un livellamento (era ora) - dovuto alla digitalizzazione di pmi, enti e professionisti - che porterà ad una necessità di avere qualità, oltre che quantità. I servizi digitali saranno quasi dati per scontati e, per forza di cose, verrà data maggiore rilevanza agli standard qualitativi e verranno sempre meno tollerati i disservizi e difficoltà nell'esperienza di acquisto o di fruizione di prodotti o servizi. In tutti i campi. Saremo sempre più prosumer (parola che viene da "producer" e" consumer"), in sostanza professional consumer. Concludo con un'importante aspetto, non citato ma indispensabile. In un mondo sempre più digitale e interconnesso, la competenza e la creatività delle persone farà sempre più la differenza. Perché il digitale è solo un veicolo e uno strumento per facilitare ogni cosa. Che pensiamo, creiamo e utilizziamo noi. Cosa vuoi fare adesso? Leggere l'ultima recensione "Innovare davvero". Leggere l'articolo "Non è mai troppo tardi". Curioso per natura, sportivo dalla nascita e testardo per origini. Leggo per crescere e per esplorare nuovi mondi. Amo il marketing, la vendita, il calcio e i viaggi. Adoro i Simpson e sono un divoratore di serie tv. Odio il piccante, la 'nduja, la cipolla e l'aglio. E per questo mi definiscono un calabrese atipico. Ripristineremo la normalità appena saremo sicuri di cosa sia in ogni caso il normale. Grazie. Douglas Adams Siamo ancora qui. Seppur in piena fase 2, siamo ancora sottoposti a regole e restrizioni, fondamentali per contenere la dispersione del virus. Da diverse settimane siamo oramai chiusi in casa (il nostro luogo sicuro) nel bel mezzo della primavera. Dalle nostre finestre osserviamo inermi il trascorrere di giornate incredibilmente soleggiate. Un clima che ci invita ad uscire, ma dobbiamo farlo ancora per lo stretto necessario. Questo non significa, però che non possiamo guardare quella luce con speranza, positività e con sano ottimismo. Nonostante tutto. Ne ho parlato qui. Ci stiamo tutti affacciando verso una "nuova" normalità. Due parole che ultimamente sentiamo troppo spesso insieme e che da qualche mese hanno cambiato la nostra concezione di routine, quindi ciò che per noi è (o era) consueto. Per i prossimi mesi, il concetto di normalità, sarà da aggiornare costantemente nel nostro vocabolario comune. Anche se, a dir la verità, il concetto di "normale" va prima definito. Secondo Treccani significa: "Carattere, condizione di ciò che è o si ritiene normale, cioè regolare e consueto, non eccezionale o casuale o patologico, con riferimento sia al modo di vivere, di agire, o allo stato di salute fisica o psichica, di un individuo, sia a manifestazioni e avvenimenti del mondo fisico, sia a situazioni (politiche, sociali, ecc.)." Normalità viene dal latino norma, ossia "squadra", da cui normalis = perpendicolare, retto. Nel linguaggio comune la normalità è sovrapponibile ai concetti di regolarità, esattezza, precisione ed ha come sinonimi: logico, giusto, corretto (Fonte Il Sole 24 ore, religione e società). Per cui rappresenta qualcosa di regolare e di preciso. Ma la vita ci ha insegnato che la "normalità", in realtà, è un concetto astratto, soggettivo e il cui significato può cambiare in base al contesto, al proprio pensiero, alla famiglia di provenienza e alle abitudini di ognuno Ma non solo. La normalità cambia di continente in continente, di Stato in Stato, anzi addirittura di regione in regione e, di conseguenza di persona in persona. La normalità è un fattore incredibilmente influenzato dall'aspetto culturale. Per cui, chi stabilisce che una cosa è normale? Dov'è scritto che un comportamento o un'azione è definita normale? Quali sono i confini tra il normale e l'anormale? Forse davvero questa "nuova" normalità ci ha uniformati. Ha reso i comportamenti simili in tutto il mondo: indossare la mascherina - i cinesi lo facevano da anni a causa degli alti livelli di smog - tutti attenti a rispettare distanze e regole, l'incertezza economica ha fatto emergere la nostra vulnerabilità e questo comporta, in molti casi, quasi un reset totale. Un livellamento globale delle abitudini, e chi più chi meno, si sta comportando in maniera ligia o un po' più flessibile, in base appunto anche alle differenze culturali di ogni Paese e alle disposizioni messe in atto dai Governi. Questo virus ci ha reso tutti uguali (un po' come la "livella" di Totò) e ha fatto emergere tutta la nostra vulnerabilità, per alcuni sconosciuta. Ha democratizzato le persone: proprio perché ha intaccato persone note, un Principe, autorità di ogni genere, medici, esponenti del Governo di tutto il mondo ecc. Figure intoccabili, invincibili e imbattili, si sono dovute ricredere. Il nuovo fa paura, ma volenti o nolenti dobbiamo affrontarlo. Tutti insieme. “La normalità è una strada asfaltata: è comoda per camminare, ma non vi crescono fiori.” Vincent van Gogh Questa frase mi piace perché è un grido di speranza a vedere il lato positivo di questa nuova normalità. Spesso a star fermi non succede nulla e non si esce mai dalla zona comfort. Con questo non voglio usare la parola opportunità, oramai abusata, ma questa "nuova normalità" potrà essere un modo per esplorare nuovi modi per vivere, per connetterci l'uno l'altro, per risolvere nuovi problemi, per acquistare e per pensare tutto in maniera più sostenibile: dal cibo alla mobilità. Chissà, sarò io un inguaribile ottimista ma dai dati emersi in queste settimane (che puoi trovare facilmente online) emerge una maggiore attenzione dei consumatori nell'acquistare beni primari (e pochi futili) e nel dare rilevanza alla sostenibilità e alla salute, acquistando prodotti a Km0, biologici - magari direttamente dal produttore locale o presso la bottega sotto casa - e realizzati da brand che fanno dell'etica un punto di forza. Il nuovo consumatore, forse anche grazie a questa situazione, probabilmente è più attento e competente di prima. Siamo un po' ritornati alle origini, dove il bisogno primario e i valori vengono prima di ogni altra cosa. In tal senso speriamo che questo aspetto diventi un'abitudine consolidata in tutti noi. Concludendo questa interpretazione della normalità dovremmo capire quanto durerà e cosa implicherà. Nessuno lo sa, ma mio modo di vedere, tre cose sono certe: 1. Non si può tornare indietro e tutto ciò che è stato fatto, nel bene e nel male, è la base per la ripartenza. La nostra mente ha già fatto un passo, forse anche quattro, fuori dalla propria comfort zone. 2. Abbiamo un dannato bisogno di una parte essenziale della "vecchia" normalità: di amici, della famiglia, di abbracci, sorrisi. Di vita. Ma quando lo riavremo al 100%? 3. La "straordinarietà" di quello che stiamo facendo adesso diventerà la "nuova" normalità, almeno per un po'. E ci abitueremo anche a questo. Riusciamo a vedere la luce in fondo al tunnel? Siamo pronti ad affrontare questa "nuova normalità"? Cosa vuoi fare adesso? Leggere l'articolo "Dare un senso ad un mondo caotico". Consultare i libri che ho letto nel 2020 (e in quarantena). Curioso per natura, sportivo dalla nascita e testardo per origini. Leggo per crescere e per esplorare nuovi mondi. Amo il marketing, la vendita, il calcio e i viaggi. Adoro i Simpson e sono un divoratore di serie tv. Odio il piccante, la 'nduja, la cipolla e l'aglio. E per questo mi definiscono un calabrese atipico. Il tempo è relativo, il suo unico valore è dato da ciò che noi facciamo mentre sta passando. In questi mesi non semplici ci sono mancate tante cose, ma l'unica che non ci è mancata era il tempo. Se segui il blog, anche solo da una settimana, avrai compreso quanta importanza pongo a questa parola. Come ho già detto diverse volte, ritengo che il modo in cui sfruttiamo il nostro tempo descriva sostanzialmente chi siamo: il nostro carattere, le nostre attitudini, il nostro livello di resilienza, la nostra costanza e, ultimo non per importanza, il nostro impegno nel volerci migliorare costantemente. Abbiamo avuto l'opportunità di sfruttarlo come meglio credevamo: tra una videochiamata con amici o familiari e un'imperdibile serie su Netflix, c'era sempre tempo per la sfruttarlo in attività legate alla nostra crescita personale o alla formazione. Personalmente ho organizzato il mio tempo per gestire al meglio le mie priorità, senza tralasciare nulla. Dallo sport alla famiglia, dalla lettura all'apprendimento di nuove competenze, fino alle cose più semplici: imparare a fare la pizza o prendermi cura dei miei cani. Ho letto diversi libri in questi due mesi di quarantena. Certo, avrei potuto leggerne molti di più, ma non sono un fan della lettura veloce o superficiale, ovvero quell'irrefrenabile fretta di abbandonare un testo dopo aver compreso i punti salienti. Lo fanno in molti (per alcuni è un vero e proprio talento), lo so, ma preferisco, soprattutto per alcuni testi specifici, gustarmeli, immergermi e assaporarli pian piano. Mi sono reso conto che talvolta ci sono dei passaggi sottovalutati, che risultano più importanti di tanti altri: piccoli paragrafi di capitoli finali, o ad esempio, trovo sempre interesse nel leggere i ringraziamenti, perché ne comprendo l'umanità dello scrittore e spesso si scoprono degli aneddoti o lo scopo stesso per cui è stato scritto il libro. Sembra banale non lo è. Un libro lo inizio e lo finisco. Ad eccezione di un testo che mi sono promesso di finire nel 2020: è una sfida personale. Bando alle ciance... Di seguito - in rigoroso ordine di lettura partendo dal più recente - ti riporto i miei libri letti nel 2020 e alcuni, che forse avrai già consultato in queste settimane, proprio in queste settimane: 1. "Innovare davvero" di Alf Rehn 2. "Human-Centric Marketing" di Matteo Rinaldi 3. "Ballando con l'Apocalisse" di Andrea Fontana 4. "Il monaco che vendette la sua Ferrari" di Robin S. Sharma 5. "L'arte della lentezza" di Véronique Aïache 6. "L'One minute manager" di Ken Blanchard, William Oncken e Hal Burrows 7. "50 segreti della scienza della persuasione" di J. Goldstein, J. Martin, B. Cialdini 8. "Chi ha spostato il mio formaggio? Il seguito" di Spencer Johnson 9. "L'arte della vittoria" di Phil Knight 10. "Chi ha spostato il mio formaggio" di Spencer Johnson Ogni libro, tra quelli presenti in lista, mi ha insegnato tanto: nuove competenze, lezioni di vita e valori, anche solo attraverso aneddoti e storie reali. Alcuni di essi mi hanno davvero aperto la mente a nuovi mondi, a nuove prospettive di pensiero e di visione della vita. Non è importante solo quello che impariamo dai libri, ma soprattutto come ci cambiano e ci fanno crescere. Buona lettura! Cosa vuoi fare adesso? Consultare l'intera libreria digitale, oppure leggere gli ultimi articoli del blog. Curioso per natura, sportivo dalla nascita e testardo per origini. Leggo per crescere e per esplorare nuovi mondi. Amo il marketing, la vendita, il calcio e i viaggi. Adoro i Simpson e sono un divoratore di serie tv. Odio il piccante, la 'nduja, la cipolla e l'aglio. E per questo mi definiscono un calabrese atipico. |