L’ottimismo è una strategia per un futuro migliore. Perché se non credi che il futuro possa essere migliore è improbabile che tu ti faccia avanti e ti assuma la responsabilità di cambiare le cose. Se dai per scontato che non c’è speranza, ti garantisci che non ci sarà speranza. Se invece pensi che ci sia una spinta istintiva alla libertà, c’è la possibilità di cambiare le cose e che tu contribuisca a migliorare il mondo. La scelta è tua. Noam Chomsky su Internazionale, gennaio 2020. Un paio di articoli fa ho già parlato di quali possono essere i quattro approcci a questo periodo: il pessimista, l'ottimista, il realista e l'opportunista (trovi l'articolo in fondo). Probabilmente ci si può anche trovare a metà tra uno e l'altro, ma sostanzialmente si è più inclini ad uno dei quattro. Come persone abbiamo un'occasione unica per riflettere. Quello trascorso è un periodo prezioso per dare un senso a tante cose: a noi stessi, al valore degli affetti, al nostro lavoro e alla tecnologia, ai problemi, alle cose, al mondo circostante ecc. Ne ho parlato qui: "Dare un senso ad un mondo caotico"). Ma acquisita questa consapevolezza (diamola per scontata), è arrivato il momento di tirare le somme e di reagire. Cosa abbiamo fatto fino ad oggi? Qual è stato il nostro approccio? Siamo pronti per affrontare questa battaglia? Siamo solo all'inizio. Che persona abbiamo (ri)scoperto essere? Affrontare tutto con sano ottimismo. Più saremo ottimisti (e realisti) e meno subiremo le conseguenze del cambiamento, dal punto di vista mentale e non solo. Perché saremo più formati, temprati e propositivi. Nonostante tutto, aggiungo. Significa che abbiamo preso coscienza della gravità della situazione e abbiamo deciso di gestirla con estrema lucidità e controllo. Stando fermi ad aspettare o a piangersi addosso, di certo non cambia nulla. Anzi, i danni potrebbero essere peggiori. Rita Levi Montalcini diceva tanti anni fa: "La vita è un'esperienza unica di straordinaria importanza che dovrebbe essere vissuta in profondità traendo da questa gli elementi positivi, anche se questi al momento nel quale sono vissuti non appaiono come tali. Le difficoltà e gli intralci, di qualunque natura essi siano, possono incidere favorevolmente nelle scelte e nel decorso della vita…Di non minore importanza, è la capacità di affrontare la vita con ottimismo e fiducia nel prossimo, anche se bisogna riconoscere che questa fiducia è messa, molte volte, a dura prova». Da qui il concetto di resilienza. A sostegno di quanto detto, proprio su questo tema, ci tengo sempre a riportare uno studio. Da un'indagine del CNR ("Mutamenti sociali in atto-COVID-19") su 140.000 italiani provenienti da tutta Italia, sono emersi dei dati interessanti proprio in relazione alla differenza di approccio - in questo periodo storico - tra uomo e donna, in relazione all'età e addirittura alla regione di riferimento. Gli indicatori su cui è stato basato questo studio erano sostanzialmente due: “orientato al problema” e “focalizzato su emozioni positive”. Riassumo i dati più rilevanti: 1. Si evidenzia una complessiva capacità di resilienza maggiormente focalizzata sulle emozioni positive (0,56) e un po’ meno orientata al compito (0,40); 2. I punteggi di resilienza mostrano che gli uomini hanno un focus migliore sulle emozioni positive (0,65 contro lo 0,47 delle donne). Le donne al contrario, hanno un migliore orientamento al problema (0,42 contro lo 0,38 degli uomini). 3. I punteggi mostrano che la resilienza cresce con il crescere dell’età. In particolare le persone più adulte si focalizzano sulle emozioni positive (0,71) rispetto alle persone più giovani (0,42). Mentre sono le persone di età compresa tra i 50 e i 69 anni che sono maggiormente orientate al problema (0,44). 4. Chi ha un livello di istruzione alto mostra punteggi maggiori rispetto a chi ha un livello medio basso sia per quanto riguarda il focus sulle emozioni positive sia sull’orientamento al problema. 5. Relativamente alle emozioni positive, il Nord ha il punteggio più alto (0,61), mentre il Mezzogiorno il più basso (0,49). Come si può notare, quindi, la resilienza - accompagnata da emozioni positive e un forte orientamento al problema - aumenta con il crescere dell'età, del livello d'istruzione e della regione di appartenenza. Apprendere nuove competenze. Questa fase è un'occasione unica per tutti noi, appunto, per aggiornare o apprendere nuove competenze, utili per la ripartenza e per la sopravvivenza. Senza accorgercene in queste settimane abbiamo fatto passi da gigante (e siamo ancora all'inizio) da un punto di vista tecnologico. Non tanto per l'uso di chissà quali strumenti, ma in quanto ad elasticità mentale nell'uso della tecnologia e dei servizi online nel quotidiano. Abbiamo assistito a cambi epocali di abitudini che avrebbero richiesto anni. Soprattutto per alcune fasce d'età o tipologie di persone che erano completamente avulse dalle dinamiche digitali. Dobbiamo, però, capire che passato questo periodo storico non basterà saper effettuare una videochiamata, ma adattare questi canali alle nostre reali esigenze personali e lavorative, al fine di migliorare e risolvere tanti problemi. La cultura digitale non deve essere uno slogan, ma deve divenire un'abitudine naturale, da allenare. Dobbiamo essere pronti per affrontare un nuovo modo di lavorare e di vivere, a maggior ragione in un primo momento di assestamento. Senza mai dimenticare che in un mondo sempre più tecnologico, essere umani è vitale. Non siamo dei robot che comunicano, ma persone che provano emozioni. La nostra la creatività, che ci contraddistingue dalle macchine, ci servirà come il pane. Ultimo non per importanza: aggrapparsi alla speranza. Non c'è alcun dubbio che la gran parte delle persone ne uscirà ferita - alcuni settori e persone accuseranno i danni più degli altri e le conseguenze saranno devastanti - da questa situazione. Sia da un punto di vista umano, per chi ha perso delle persone care o ha sofferto personalmente, ma anche da quello economico: tante aziende, attività e liberi professionisti sono - e saranno - in estrema difficoltà. Sicuramente questo aspetto si ripercuoterà per un tempo indeterminato. Siamo tutti consapevoli che dovremo fare tutti delle rinunce e che perderemo qualcosa in termini economici. Ma per concludere, riporto nuovamente un estratto della frase posta in alto: "Se dai per scontato che non c’è speranza, ti garantisci che non ci sarà speranza. Se invece pensi che ci sia una spinta istintiva alla libertà, c’è la possibilità di cambiare le cose e che tu contribuisca a migliorare il mondo. La scelta è tua." Noam Chomsky su Internazionale, gennaio 2020. Sperare in un futuro migliore non significa essere incoscienti o troppo ottimisti (lo confermano anche i dati riportati), ma decidere di affrontare la realtà con consapevolezza e coraggio, assumendosi tutte le responsabilità del caso. A tal punto che si è disposti (o costretti) a cambiare lavoro, modo di pensare, di agire e di vivere. In alcuni casi, si tratta di una vera e propria rivoluzione. Siamo pronti a - provare a - prosperare nel disordine? (neologismo di Nassim Taleb). Cosa vuoi fare adesso? Leggere l'articolo "C'era una volta...un virus". Leggere l'ultima recensione "Human-Centric Marketing". Curioso per natura, sportivo dalla nascita e testardo per origini. Leggo per crescere e per esplorare nuovi mondi. Amo il marketing, la vendita, il calcio e i viaggi. Adoro i Simpson e sono un divoratore di serie tv. Odio il piccante, la 'nduja, la cipolla e l'aglio. E per questo mi definiscono un calabrese atipico. Cerchiamo di non guardarci indietro con rabbia o avanti con paura, ma intorno con consapevolezza. James Thurber Trolley o zaino in spalla, dei vestiti comodi addosso, l’essenziale per poter partire “leggeri” e tanta voglia di avventura. Soli o in compagnia. Ce lo saremmo immaginati così il nostro viaggio verso la consapevolezza. Qualcuno se lo immaginava in un’isola deserta, chi in Africa, chi in una splendida metropoli, chi sognava di affrontare il lungo cammino che porta a Santiago e chi in un posto completamente sconosciuto. Fuori dal mondo. Ognuno nella dimensione in cui si si ritiene più adatto in base al proprio carattere. Non si tratta di un viaggio normale, ma di un'esperienza che ti catapulta fuori dalla zona comfort. Il viaggio si sa, è terapeutico e fa vivere momenti unici che permettono di uscire dalla propria routine, di ritrovare la serenità e di depurare la mente. Viaggiare aumenta la nostra consapevolezza, oltre che la nostra cultura. "L’unica regola del viaggio è: non tornare come sei partito. Torna diverso." Anne Carson E adesso stiamo viaggiando tutti insieme dalle nostre case. Dal nostro luogo sicuro, con le persone che vorremmo sempre con noi. Non è bellissimo? Le abbiamo scelte. È un viaggio interiore, un percorso che tanto si avvicina all’idea comune di viaggiare per ritrovare sé stessi. Quell’idea che ci porta ad aprire la mente, allargare i nostri orizzonti e le vedute. Anche a soffrire. A tratti è triste perché manca la quotidianità. La "vecchia" normalità. Ma è pur sempre un viaggio che lascia qualcosa: ricordi, ferite, emozioni e conoscenze. Ci fa crescere e ci induce a riflettere. Torneremo diversi da questo viaggio? Certamente stiamo (ri)scoprendo "l'arte della lentezza" (nonché titolo del libro di Véronique Aïache: trovi la recensione nella libreria digitale), che ci induce ad annoiarci - quindi ad essere creativi ad occupare il tempo nella maniera che riteniamo più opportuna - e a decelerare i ritmi. Questo, probabilmente, è l’unico viaggio che abbiamo iniziato senza conoscere né la durata né la meta. La strada che percorreremo la scopriremo passo dopo passo - step by step per gli anglofoni - superando tanti ostacoli per poi arrivare chissà dove. In questo viaggio siamo liberi di gestire il tempo - dove il tempo non è denaro ma dedicare la propria attenzione su qualcosa o qualcuno - e di ritrovare (o scoprire) i valori che ci appartengono. Di soffermarci a ragionare su quali siano i punti cardine della nostra vita e su cosa abbiamo realmente creato fino all’altro ieri (prima di partire). Di ricrederci su alcune persone (in positivo o in negativo) e di mettere in dubbio le nostre convinzioni e le nostre sicurezze. È tutto in discussione, tranne le nostre radici. Quelle non si sradicano. Ci siamo rivelati per quello che siamo: fragili o antifragili (neologismo di Nassim Taleb), dipende da come siamo fatti. Forse i più invincibili, quelli che non avrebbero mai pensato di "cadere", hanno conosciuto per la prima volta la loro fragilità. E invece, chissà, chi era fragile si è scoperto antifragile. "L'antifragilità va al di là della resilienza e della robustezza. Ciò che è resiliente resiste allo shock e rimane identico a se stesso; l'antifragile migliora." Nassim Taleb Stiamo tutti potenziando e ricostruendo, mattone per mattone, la nostra antifragilità. Stiamo navigando a vista. Si può proprio dire. Stiamo viaggiando verso un altro modo di vivere (almeno per un primo periodo). In queste settimane, grazie alla paura, stiamo allenando l'elasticità della nostra mente. Come se fosse un muscolo che ha bisogno di flessibilità e di crescere, altrimenti si atrofizza. Stiamo entrando e uscendo continuamente dalla zona comfort come se ad accoglierci all’entrata ci fosse una porta scorrevole. Pian piano ci stiamo adattando al pensiero comune che nei prossimi mesi tante cose saranno diverse rispetto a prima. Con la consapevolezza che non sappiamo proprio niente di quello che sarà. Pensiamo a qualsiasi soluzione possibile per tutelare la nostra vita sociale ed economica. Tutte supposizioni che però ci fanno capire quanto eravamo “ricchi” prima. E non parlo di denaro (anche se prima di tutto ciò stavamo tutti decisamente meglio), ma ricchi di vita: famiglia, amici, lavoro. Cose semplici. Siamo consapevoli che dobbiamo adattarci per sopravvivere. E non è poco. Adesso siamo consapevoli anche di qualcos'altro. Siamo consapevoli che senza gli altri siamo incompleti. Siamo consapevoli che la libertà è un valore inestimabile e che sarà bellissimo vivere la vita fuori senza sentirsi in colpa di uscire. Siamo consapevoli che finora abbiamo dato rilevanza a tante cose inutili, dimenticandoci l’importanza di essere delle persone e non delle macchine che lavorano 8 ore al giorno, se non di più. Siamo consapevoli che dovremo rinunciare a tante cose, ma d'altra parte non c'è scelta. Su qualcosa (forse), ancora, non siamo consapevoli. Siamo consapevoli che il valore del tempo che abbiamo a disposizione adesso è inestimabile? Siamo consapevoli che è bellissimo parlarci tutti in felpa (quando si vuol essere proprio eleganti) e in ciabatte? Ci rende ancora più umani. Siamo consapevoli dell’importanza dell’uso delle parole, soprattutto in situazioni di paura e di incertezza? Siamo consapevoli che è fondamentale potenziare la nostra consapevolezza per guardare tutto con estrema lucidità? Saremo consapevoli che l’essenziale è comprendere cosa è davvero prezioso per noi? La conoscenza, le competenze e la speranza - accompagnata da un sano ottimismo - sono frutto di una consapevolezza conquistata, e ne parlerò nel prossimo articolo. Quando questo viaggio sarà finito ricordiamoci chi ci è stato accanto, chi ci ha aiutato e ci ha sostenuto, e chi invece, ne ha approfittato o ci ha evitato. Cosa vuoi fare adesso? Se vuoi viaggiare leggendo un libro, qui trovi 11 titoli di testi, a mio parere utili, per questo periodo. Oppure ti invito a leggere l'articolo "Dare un senso ad un mondo caotico". Curioso per natura, sportivo dalla nascita e testardo per origini. Leggo per crescere e per esplorare nuovi mondi. Amo il marketing, la vendita, il calcio e i viaggi. Adoro i Simpson e sono un divoratore di serie tv. Odio il piccante, la 'nduja, la cipolla e l'aglio. E per questo mi definiscono un calabrese atipico. La fiducia è la sola cura conosciuta per la paura. Lena Kellogg Sadler Il mantra è - e sarà per i mesi a venire - la fiducia. In questo periodo storico le aziende, oltre a dover essere quanto mai agili e flessibili al cambiamento, sono invitate ad offrire il proprio contribuito economico e produttivo (vedi donazioni o aiuti nel produrre materiale sanitario). Fortunatamente in Italia abbiamo decine e decine di esempi di realtà che hanno trasformato la loro produzione per aiutare il Paese. Chiaramente ogni azienda fa quello che può, ma qualcosa è chiamata a fare: l'immobilismo e il silenzio sono deleteri. Il silenzio non è una strategia vincente. I brand hanno una responsabilità incredibile. Sono chiamati a prendere una posizione, a mostrare empatia, trasmettere sicurezza e vicinanza a tutte le persone. Una parola le accomuna tutte: fiducia. Il marketing, per sua natura, crea valore, fiducia, relazioni ed è il veicolo per eccellenza per comunicare con le persone. Fare marketing adesso è fondamentale. Ogni azione strategica e operativa, come creare contenuti, campagne social, televisive o offline, deve essere necessariamente pensata per raccontare e condividere valori, per comunicare iniziative volte ad aiutare le persone o a tutela dei dipendenti, con l'obiettivo di mantenere e ribadire i valori (reali) del brand. Rassicurare, mostrare attenzione e sostegno nei confronti della collettività, sono alcuni punti chiave che ogni azienda è tenuta a diffondere, sempre in linea con la propria natura. Tutto ciò che è artefatto verrà facilmente smascherato. Solo così le persone possono sentirsi più inclini ad acquistare (in questa fase maggiormente beni di prima necessità o simili), e passato il periodo di incertezza e difficoltà economica, ci auguriamo che pian piano tutti torneranno a condurre uno stile di vita (quasi) normale. Acquistando prodotti e servizi con l'obiettivo di soddisfare i propri bisogni primari e non. In quali misure lo scopriremo solo vivendo. Il Sole 24 Ore e Fortune parlano di un possibile "revenge spending" in alcuni specifici settori. Staremo a vedere. Teniamo presente che quando l'emergenza sarà finita tutti si ricorderanno dei brand che hanno preso una posizione etica e che hanno aiutato il Paese in un momento di tale difficoltà. A sostegno di quanto detto, ti riporto due ricerche di fonti rilevanti come Edelman Trust Barometer e OgilvyConsulting. Partiamo dalla prima. Su un articolo de Il Sole 24 Ore di qualche giorno fa ho letto un'indagine molto interessante. Secondo Edelman Trust Barometer - la più importante indagine globale sul tema della fiducia - in queste settimane è cresciuta la fiducia nelle aziende in maniera esponenziale. Il campione intervistato è di 12mila persone in 12 Paesi, tra cui l'Italia. Ecco alcuni dati piuttosto eloquenti: - Il 62% degli intervistati non crede che il proprio Paese riuscirà a superare la fase difficile senza il ruolo in primo piano delle marche; - Un consumatore su 3 adotta un brand per come ha risposto all'emergenza; - Due consumatori su 3 affermano che la risposta dell'azienda influenzerà gli acquisti futuri; - L'89% afferma che le marche possono essere risolutrici di problemi, sviluppando nuovi servizi e prodotti che aiutino le persone ad affrontare nuove sfide durante la pandemia; - Il 77% si aspetta che parlino dei loro prodotti solo in modo da dimostrare di essere consapevoli della crisi; Ultimo dato, quello più importante: 7 su 10 sostengono che coloro che mettono i profitti prima delle persone perderanno la loro fiducia per sempre. Di getto la prima che viene di mente Esselunga, che con i suoi spot incredibilmente efficaci (perfettamente in linea con gli standard qualitativi dei supermercati e con i valori dell'azienda), trasmette sicurezza, pulizia, ma soprattutto fiducia e vicinanza. Discorso che non vale solo per questo periodo, ma anche e soprattutto dopo questa fase quando torneremo ad uscire, avremo tutti bisogno di sentirci più sicuri e meno esposti al rischio, sia da un punto di vista sanitario che meramente economico. La nostra banca deve infonderci fiducia, altrimenti la cambieremo. Il ristorante in cui andremo a mangiare deve infonderci fiducia, altrimenti smetteremo di essere clienti. I nostri fornitori devono infonderci fiducia, in caso contrario ne troveremo degli altri. Il panettiere dietro casa deve infonderci fiducia, altrimenti saremo disposti a fare 200 metri in più per avere maggiori garanzie di igiene e pulizia. Potrei andare avanti all'infinito, ma non serve. Concludo con un estratto di una ricerca di OgilvyConsulting - agenzia specializzata in strategie e innovazione - la quale sostiene quanto sia importante che i brand siano purposeful-oriented, e che il tono di voce sia rassicurante, in modo che possa offrire una visione e una prospettiva ottimistica. Quello che stiamo vivendo è il momento ideale per trasmettere valori come: la sostenibilità, l'ambiente, la qualità, la sicurezza e soprattutto il Made in Italy. In tempi incerti le persone cercano dei leader e le azienda rappresentano un punto di riferimento e hanno una funzione di apripista e di orientamento. (Fonte: OgilvyConsulting) "La risposta giusta per le brand non è senz’altro il silenzio." GroupM, Ripensare al 2020. Anche il silenzio è una modalità di comunicazione e farlo adesso può dire tanto. Curioso per natura, sportivo dalla nascita e testardo per origini. Leggo per crescere e per esplorare nuovi mondi. Amo il marketing, la vendita, il calcio e i viaggi. Adoro i Simpson e sono un divoratore di serie tv. Odio il piccante, la 'nduja, la cipolla e l'aglio. E per questo mi definiscono un calabrese atipico. Siamo giovani agronomi, siamo coltivatori appassionati, ma soprattutto ci divertiamo a coltivare la nostra terra. Pierre, Luca, Paolo, Giovanni e Stefano Quello di oggi è un articolo focalizzato su un'azienda che ha attuato una strategia molto particolare, potrei dire assolutamente inusuale per questa tipologia di settore, tipicamente basato sulla vendita diretta tramite i punti vendita. Mi riferisco ad una piccola impresa agricola e non ad un colosso o una multinazionale. Questo esempio, in un periodo così instabile dal punto di vista economico (e non solo), può fare davvero ragionare su quanto sia fondamentale reinventarsi, ripensare alla strategia e valutare il miglioramento dei servizi. Nelle prossime righe ti spiegherò perché. Floema è nata dall'idea di un gruppo di studenti di agraria, che hanno avuto l'intuizione di offrire un servizio diretto tra produttore e consumatore, basandosi sulla vendita online di ortaggi e frutta. L'azienda agricola si trova a Crespellano, in provincia di Bologna, e consegna in tutto il territorio bolognese (da pochi giorni anche in alcuni paese del modenese), proprio per garantire qualità, freschezza e velocità. Nessun intermediario. Più km0 di così non si può. Riporto una frase che sintetizza perfettamente quanto appena detto: "Non siamo diversi da tanti altri. Però siamo unici: nessun intermediario o distributore tra noi, i nostri prodotti e chi li consuma. Chi la mattina raccoglie gli ortaggi è lo stesso che il pomeriggio ve li consegna". Floema si rivolge essenzialmente a tre target: - Consumatore finale - Ristoranti - Aziende L'approccio, tipico di una realtà territoriale, è certamente mirato a fidelizzare e garantire un rapporto di fiducia sia in ambito B2C che B2B. Questo significa che il fattore umano che si instaura tra produttore e consumatore è tangibile, reale e trasparente. Talmente impattante che l'esperienza di acquisto non può che essere eccellente per le caratteristiche sopra descritte. E non solo. Sei arrivato fin qui e non ti ho ancora spiegato l'unicità di questa realtà. Fare la spesa in questo periodo storico sappiamo tutti che è diventato un problema, proprio per l'esponenziale aumento della spesa a domicilio. I siti e le app di Esselunga, Supermercato24, Coop, Amazon e tanti altri sono completamente in tilt: le consegne sono in coda e i tempi di attesa sono lunghissimi, di settimane se non di mesi, vista la mole di richieste. L'abbonamento automatico di Floema Floema, oltre ovviamente a consegnare ordine per ordine in precisi giorni della settimana (in base alla zona) con un minimo di spesa di 15 euro, ha ideato un servizio che ti ricorderà la consegna automatica di Amazon (attivabile da 1 a 6 mesi). Ovvero, la possibilità di automatizzare un ordine, che un utente ritiene sia ricorrente, con l'obiettivo di agevolare l'acquisto successivo e fidelizzarlo per un periodo di medio-lungo termine. Un'esperienza di acquisto unica. La stessa cosa ha fatto quest'azienda. L'abbonamento (vedi foto in basso) permette al cliente di poter ricevere la stessa merce (con la possibilità di sostituire dei prodotti) ogni settimana. Il pagamento è anch'esso automatizzato, in quanto l'importo viene detratto il giorno prima della consegna. Una semplice idea si trasforma in un servizio eccellente che induce ad acquistare in maniera frequente, e che soprattutto a mio parere risolve diversi problemi: 1. Fa risparmiare tempo (ogni ordine richiederebbe particolare attenzione) 2. Invoglia all'acquisto anche chi è poco pratico (essendo un servizio semplice e intuitivo) 3. Il pagamento è automatico e anticipato (evita lo scambio di denaro e velocizza la consegna) Fonte foto: agricolafloema.it Come puoi aver compreso, l'unicità di questo servizio è quella di averlo contestualizzato perfettamente in un settore tipicamente basato sulla vendita offline. A volte anche un'idea, che può sembrare banale ma che in realtà non lo è, può fare la differenza se ben attuata. Molte realtà già da subito devono per forza di cose reinventarsi e chi non innova, non rivede i propri modelli di business, non offre un'esperienza eccellente, non garantisce sicurezza e qualità, farà fatica a sopravvivere. E se, grazie (si fa per dire) a questo periodo, tornassimo a riscoprire l'importanza delle piccole aziende locali? Il mantra è - e sarà per i mesi a venire - la fiducia! Sarà proprio questo il tema del prossimo articolo. Cosa vuoi fare adesso? Leggere l'articolo "Non è mai troppo tardi". Leggere l'ultima recensione "Ballando con l'Apocalisse" di Andrea Fontana. Curioso per natura, sportivo dalla nascita e testardo per origini. Leggo per crescere e per esplorare nuovi mondi. Amo il marketing, la vendita, il calcio e i viaggi. Adoro i Simpson e sono un divoratore di serie tv. Odio il piccante, la 'nduja, la cipolla e l'aglio. E per questo mi definiscono un calabrese atipico. L’energia in eccesso che scaturisce dall’iperreazione di fronte a una difficoltà è ciò che permette di innovare. Nassim Taleb Futuro e passato in una foto: l'emblema della situazione che stiamo vivendo in queste settimane, e certamente, di ciò che rappresenterà il futuro prossimo di tutti noi. All'improvviso tutto si è capovolto: nipoti che insegnano ai nonni, figli che insegnano ai genitori (precisando che mi riferisco alle competenze e non alle lezioni di vita). Anche il titolo non è a caso. Partiamo da quello. Anno 1960: combattere l'analfabetismo in Italia "Non è mai troppo tardi" era un programma televisivo andato in onda sulla Rai dal 1960 al 1968 e tenuto da Alberto Manzi, Carlo Piantoni e Oreste Gasperini. L'obiettivo della trasmissione, sostenuta dal Ministero dalla Pubblica Istruzione, era di insegnare a leggere, scrivere e parlare la lingua italiana (Fonte: Rai Cultura). La televisione, in quanto mezzo di diffusione più potente a quei tempi, assieme a radio e giornali, rappresentava il metodo più veloce ed efficace per divulgare la cultura a tutti gli italiani. Per tale ragione, il programma veniva trasmesso dal lunedì al venerdì in orari serali, proprio per raggiungere il più alto numero possibile di telespettatori. La televisione, però, non era un "lusso" che potevano permettersi tutte le famiglie e per questo motivo molte persone ne approfittavano per andare a casa di parenti o amici, portando con sé una sedia. E le case degli italiani diventavano dei piccoli cinematografi: tutti insieme davanti ad uno schermo fino a tarda serata. Erano anni in cui gran parte della popolazione, reduce ancora dalle conseguenze del dopoguerra, pur avendo frequentato la scuola (anche se c'è da dire che molti non hanno terminato neanche le elementari) non era in grado né di leggere né di comunicare, se non nei rispettivi dialetti di provincia. In quegli anni si combatteva l'analfabetismo e lo si faceva con i mezzi, seppur limitati, a disposizione in quel momento storico. Si diffondeva cultura, partendo dalle basi. Perché questa premessa? Cosa c'entra con la situazione di oggi? Anno 2020: combattere l'analfabetismo digitale in Italia La vita è ciclica e, mai come oggi, siamo tornati nuovamente analfabeti, ma digitali. Eravamo analfabeti senza saperlo, o meglio non lo ammettevamo a noi stessi, pur avendo un accesso alla conoscenza illimitato. Tutto muta, tutto cambia e ciò che sapevamo ieri, peggio ancora l'altro ieri, è già obsoleto. Oggi, a causa dell'emergenza sanitaria del COVID-19, stiamo assistendo, volenti o nolenti, ad un nuovo mutamento. Potremmo dire una rivoluzione silenziosa, ma improvvisa. Quasi brutale. Mi riferisco all'avvento del digitale, delle nuove tecnologie e, quindi, dell'uso delle stesse. Ho utilizzato le stesse parole che ho riportato nell'articolo di inizio febbraio "Innovare o morire" (link alla fine dell'articolo), in cui ho riportato esempi di aziende internazionali che non hanno innovato e che hanno fallito, proprio per l'incapacità di innovarsi e di cambiare al momento giusto. Lo stesso vale per le singole persone. Tutti noi non siamo stati capaci di stare al passo coi tempi, pur avendone la possibilità e tutti gli strumenti per potenziare la nostra cultura digitale. Oggi, però, non c'è l'Alberto Manzi di turno che ci insegna come utilizzare le nuove tecnologie, come sfruttarle nella nostra vita quotidiana, nella nostra professione o semplicemente per rendere il mondo un posto migliore. Da adesso in poi dobbiamo farlo tutti noi in modo autonomo: come persone, professionisti, aziende e, in primis, devono farlo gli enti pubblici (ogni riferimento è puramente casuale). Nell'articolo citato precedentemente, ho anche scritto che siamo nell'era in cui ogni problema può essere risolto in frazioni di secondo: una ricerca istantanea su Google, un Whatsapp, una foto scattata con il cellulare, una condivisione sui social network che raggiunge centinaia, se non migliaia di persone, una videochiamata, un biglietto aereo acquistabile in pochi minuti, servizi a domicilio di qualunque tipo (spesa, farmaci, cibo ecc.). Molte persone, però, hanno preso coscienza di queste possibilità (e non solo) solo qualche settimana fa. Difatti, ci stiamo tutti adattando ad una vita sociale virtuale (ci auguriamo che finisca presto), a seguire un webinar per istruirci, ad organizzare riunioni con i colleghi e a provare e far provare emozioni tramite uno schermo. Ma andiamo nello specifico. Quanti fino a qualche settimana avevano mai effettuato un videochiamata per lavoro o per svago? Quanti, prima del COVID-19, hanno avuto il desiderio di vedere i propri cari tramite uno schermo? Quanti avevano optato per la spesa a domicilio? (+81% rispetto al 2019, secondo Nielsen) Quanti credevano fosse possibile ricevere farmaci a casa? Quanti hanno scoperto che è davvero possibile lavorare da casa mantenendo, o addirittura, migliorando le prestazioni? Quanti hanno capito che è possibile effettuare operazioni bancarie e postali online, senza andare in filiale? Quanti hanno risparmiato i soldi per benzina, o per biglietti di treni o degli aerei per meeting o appuntamenti, che (in alcuni casi) grazie alla tecnologia esistente avrebbero potuto fare gratis? Quanti hanno compreso che è possibile fare formazione online (seppur limitante per varie ragioni), persino agli studenti che frequentano la scuola, tramite applicazioni gratuite? La bella, ma anche brutta notizia, è che tutte queste azioni erano fattibili anche prima del COVID-19, ma semplicemente non tutti ne erano al corrente, o forse, non si sono mai posti il problema perché non ne trovavano la necessità o, peggio ancora, perché non avevano la pazienza per aggiornarsi e il coraggio di mettersi in gioco. Quando, invece, si è obbligati a trovare delle alternative di sopravvivenza, ci si adatta e si è disposti a qualunque cosa. Persino di imparare nuove competenze, sperimentare, studiare e trovare qualsiasi soluzione per risolvere un problema, che fino a quel momento era latente. Si può definire come una rivoluzione, quella digitale, alquanto forzata. Ma non è colpa né mia né tua, è colpa nostra. Come emerge da un report di Digital Europe, il contribuito digitale al PIL in Italia vale solo il 4%, meno della media europea (5%). Le aziende italiane più digitalizzate sono principalmente i grossi gruppi e multinazionali, che rappresentano, però, solo il 30% del totale. Il restante 70% è formato da PMI, per cui il lavoro è ancora lungo e per tale ragione siamo indietro rispetto agli altri paesi. Italia ai fanalini di coda (in Europa) per digitalizzazione Il grafico sottostante (grafico 1), frutto del report DESI (Digital Economy and Society Index) del 2018, ne è una prova. Tieni presente che i criteri di valutazione erano sostanzialmente 5, che riporto di seguito: 1 - Connettività 2 - Capitale umano/competenze digitali 3 - Uso dei servizi Internet da parte dei cittadini 4 - Integrazione della tecnologia digitale da parte delle imprese 5 - Servizi pubblici digitali L'Italia, come puoi notare, si è piazzata al 25esimo posto. Ha avuto un piccolo miglioramento rispetto agli anni precedenti (vedi copertura della banda larga e uso della fibra ottica), ma diversi criteri hanno persino avuto un peggioramento, che vederemo successivamente. Grafico 1. Fonte: Report DESI 2018 sulla digitalizzazione dell'economia e della società -https://ec.europa.eu/digital-single-market/desi Il problema principale, che impatta sul resto, è riconducibile alle competenze digitali degli italiani, che rispetto al report precedente retrocedono dal 24esimo al 25esimo posto: 69% gli utenti internet contro l’81% Ue, in calo con appena il 2,6% di specialisti delle nuove tecnologie e il 13,5% di laureati nel settore scientifico. “L’Italia”, ha specificato il rapporto Ue, “manca ancora di una strategia globale dedicata alle competenze digitali”. (Fonte DESI). Come darle torto. Lo si può notare dal grafico sottostante (grafico 2). Tutti i criteri sono al di sotto delle media europea e vanno ad impattare sulla situazione generale del Belpaese: dal singolo cittadino alle aziende. Grafico 2. Fonte: Report DESI 2018 sulla digitalizzazione dell'economia e della società -https://ec.europa.eu/digital-single-market/desi Ancora più allarmante è l'utilizzo di servizi online e digitali, in cui non si è assistito ad alcun progresso. L'Italia, in questa specifica tabella (grafico 3) è penultima: in calo i lettori di giornali online (ormai ultimi in Europa), bene su musica, video e giochi (14esima), e fanalino di coda, anche se in leggero aumento, su shopping online (salito al 44%), servizi bancari (43%) e videochiamate (39%) e social network (61%). Per quanto riguarda la lettura delle notizie online, siamo ultimi in Europa. L’Italia è infatti 28/a su 28 nel 2018 per la percentuale di persone che utilizza Internet per informarsi, che segna un ulteriore crollo dalla 26/a posizione del 2017. Solo il 56% degli italiani consulta siti di informazione sul web, contro il 60% del report precedente, ben al di sotto della media Ue che è al 72%. Grafico 3. Fonte: Report DESI 2018 sulla digitalizzazione dell'economia e della società -https://ec.europa.eu/digital-single-market/desi Questa è certamente un'occasione ghiotta per l'Italia, ma anche per tutti noi, per aumentare le competenze digitali e per rendere più snelle tutte le operazioni della P.A., degli uffici, delle scuole, delle aziende, ma anche per risolvere semplici necessità quotidiane. La crescita digitale - intesa come elasticità mentale all'utilizzo di alcune tecnologie - che avremo in questi mesi, probabilmente, in una situazione normale avrebbe necessitato 5, se non addirittura 10 anni. Ma noi italiani siamo così: restii al cambiamento, tradizionalisti e complicati. Ci piace rendere tutto difficile, perché il nostro DNA non prevede capacità naturali come l'organizzazione e la pianificazione, al contrario dei tedeschi e di altre culture. Ma una volta che comprendiamo qualcosa, da formidabili creativi, diventiamo i più bravi al mondo. Persone, professionisti e aziende si devono, per forza di cose, adattare. Mai come oggi, servono e competenze e agilità. Siamo alla resa dei conti: innovare o morire. Non è mai troppo tardi per capirlo. Cosa vuoi fare adesso? Leggere l'articolo "Innovare o morire". Leggere l'ultima recensione "Ballando con l'Apocalisse" di Andrea Fontana. Curioso per natura, sportivo dalla nascita e testardo per origini. Leggo per crescere e per esplorare nuovi mondi. Amo il marketing, la vendita, il calcio e i viaggi. Adoro i Simpson e sono un divoratore di serie tv. Odio il piccante, la 'nduja, la cipolla e l'aglio. E per questo mi definiscono un calabrese atipico. Generalmente, il caos è il disordine esistente tra l’ultimo ordine di cui si è a conoscenza e l’ordine futuro ancora da realizzarsi. Sun Tzu "Voglio trovare un senso a questa sera, anche se questa sera un senso non ce l'ha. Voglio trovare un senso a questa vita, anche se questa vita un senso non ce l'ha". Domani è un altro, giorno arriverà...", diceva Vasco Rossi. Da quel fatidico giorno, venerdì 21 febbraio, è cambiato tutto. Ma il momento è arrivato. Il momento ideale per dare un senso ad un mondo caotico e alle nostre vite. È una prima volta per tutti. Nessuno di noi ha mai affrontato un problema di questo genere e il bello (se così si può dire) sta proprio in questo. Non esiste un manuale di sopravvivenza o un vadevecum su come affrontare un dramma sociale, economico, psicologico e politico così complesso. Ci affidiamo ai nostri governatori e alle dichiarazioni confortanti, o meno, degli esperti in materia: dai medici agli economisti, dagli studiosi agli scienziati, fino ad arrivare agli imprenditori navigati. Le parole di queste persone, che riteniamo affidabili, diventano ancore di salvezza a cui appoggiarsi. Motivo per il quale il modo di comunicare dei personaggi pubblici deve essere rassicurante, oserei dire chirurgico e certamente il più vicino possibile alla realtà. Ma cosa ne sarà della nostra vita sociale nei prossimi mesi? Cosa ne sarà del mondo del lavoro? Cosa ne sarà della nostra privacy? Cosa ne sarà della sopravvivenza di alcune aziende? Cosa ne sarà del turismo in Italia? Quali sono le abitudini che dovremo modificare e per quanto tempo? Quali saranno le rivoluzioni più impattanti? Tutte domande a cui nessuno può rispondere. Sostanzialmente, però, in questa fase ognuno deve fare i conti con se stesso tra le quattro mura di casa. L'ignoto fa già paura nel quotidiano, figuriamoci in una situazione di assoluta emergenza, che ci induce (si spera) a fare riflessioni di ogni tipo. Questa volta, però, possiamo affrontarlo tutti insieme e questo un po' ci rasserena, ci rincuora. Perché siamo tutti sulla stessa barca ed è un problema condiviso, giusto con qualche miliardo di persone. In un modo o nell'altro ne usciremo: chi ferito, chi con le ossa rotte, di dissanguato e chi quasi indenne. Le conseguenze saranno soggettive - da persona a persona, da azienda ad azienda - e tutto dipenderà dal settore di competenza e da quanto si navigava in cattive acque, economicamente e psicologicamente parlando, già prima dell'emergenza sanitaria. Quello che è certo è che cambiata la nostra scala gerarchica dei bisogni. Vediamo come. La "Piramide dei bisogni" di Maslow Abbiamo iniziato il nuovo anno con tutte le buone intenzioni (io in primis), decine di buoni propositi, imbastito progetti, pianificato vacanze, creato gruppi di lavoro per programmi ambiziosi e ragionato su strategie di medio-lungo termine. Tutto d'un tratto, ogni cosa ha perso importanza, o meglio è scesa clamorosamente dalla nostra scala gerarchica. Perché siamo nel bel mezzo della battaglia e l'unico obiettivo è uscire il più indenni possibile. A favore della nostra salute e della nostra economia, sia essa intesa a livello personale che collettivo. Le priorità, come dicevo, sono cambiate e dopo tanto sforzo comune nel rendere questo mondo sempre più produttivo, veloce, tecnologico e sempre più connesso, qualcosa più grande di noi ci ha improvvisamente obbligati a premere sul tasto "pausa". Generalmente, siamo abituati a cliccare nuovamente su "play" per proseguire. Qui no. Probabilmente prima di schiacciare sul tasto "play" bisognerà prima rimodellare tante cose, reinventarsi, mettere in discussione quanto fatto fino a quel momento e ripartire con un nuovo mindset. Chi non lo farà, molto probabilmente sarà fuori dai giochi o avrà vita breve. Chi è agile, vince. A tal proposito, ti consiglio vivamente di leggere il libro "Ballando con l'Apocalisse" di Andrea Fontana. Alla fine dell'articolo troverai il link alla recensione. Ma andiamo ad analizzare i nostri bisogni. Come detto, priorità e bisogni sono decisamente mutati in questa fase storica. Siamo scesi di qualche gradino. Se pensiamo all'intramontabile "Piramide dei bisogni" di Maslow (vedi foto in basso), ci rendiamo conto che, allo stato attuale, ci troviamo in una posizione di assoluta sopravvivenza. Siamo concentrati sui nostri bisogni fisiologici, sulla sicurezza, sulla protezione e sui nostri bisogni sociali, quest'ultimi ovviamente relativi all'ambito familiare. Considerando che la nostra socialità si limita al nostro nucleo con cui conviviamo. Tutti noi ci chiediamo quanto durerà questa fase e quando torneremo a soddisfare i bisogni meno essenziali per la nostra esistenza, ma non per questo non importanti. Anzi, pensandoci bene alcuni forse sono completamente inutili (motiverò questa frase tra poche righe). Solo il tempo potrà dirci quando sarà possibile tornare al vertice della piramide. Un'occasione unica per dare un senso a tutto Questa (lunga) premessa è per arrivare al succo dell'articolo. Per tutti noi è una grande opportunità per dare un senso a quello che siamo, a ciò che abbiamo creato finora (famiglia, amicizie, lavoro ecc.), a quello che ci circonda, ai nostri valori e alla nostra vita. Vediamo punto per punto cosa potremmo comprendere durante questa fase di emergenza. Dare un senso a noi stessi e alla nostra vita. Come ho già detto negli articoli precedenti, sta emergendo quello che realmente siamo, cosa facciamo nei momenti di solitudine e di difficoltà. Come impieghiamo il nostro tempo libero e quali sono le nostre passioni: quanto amiamo noi stessi, la nostra salute e la nostra cultura. Siamo animali sociali, non c'è alcun dubbio, ma siamo anche singoli uomini che insieme fanno una comunità di quasi 8 miliardi di persone. Ognuno di noi ha qualcosa di unico: un'ambizione, un significato, un senso profondo. Ma solo noi possiamo saperlo. E lontano dal caos della routine siamo tutti invitati a ragionare davvero sulla nostra esistenza. Dare un senso ai nostri affetti. Che viviamo questo periodo con i nostri cari, o meno, stiamo comprendendo, oggi più che mai, l'importanza dei bisogni sociali (vedi "Piramide di Maslow"): famiglia, parenti, amici e colleghi. Ci siamo resi conto che ci manca un pezzo fondamentale della nostra vita, senza il quale siamo incompleti. Quello di condividere, di confrontarci, di sorridere faccia a faccia, di abbracciare qualcuno o addirittura di discutere. Sì, perché quello che quello che prima credevamo fosse una scongiura, invece, semplicemente lo affrontavamo in maniera errata e ne davamo un significato sbagliato. Una discussione animata con un caro amico, una suocera oppressiva, un collega antipatico o un vicino scontroso. Paradossalmente, abbiamo l'opportunità di dare una diversa lettura e un diverso significato a queste situazioni quotidiane. Dare un senso al nostro lavoro e alla tecnologia. Qui non si tratta di capire la differenza tra "telelavoro" e "Smart working", tema molto dibattuto e senz'altro di moda su tutti i social. Siamo arrivati al punto che essere Smart è figo. "Se non sei Smart, sei fuori" (prendo in prestito una frase di Briatore, adattandola al contesto). Ma dopo tutto questo torneremo tutti a fare le stesse cose allo stesso modo? Cosa ci portiamo di positivo da questa esperienza? Riusciremo a comprendere che "lavoro agile" significa riporre fiducia nei propri dipendenti e non solo stare al passo coi tempi? Forse dovremmo ragionare su come la tecnologia può aiutarci a risolvere sempre più problemi. Questo periodo può davvero rivoluzionare il modo di concepire il lavoro, le relazioni formali, gli appuntamenti e il concetto di formazione. Non dimentichiamoci che Smart, significa intelligente. Ecco, tutti noi siamo invitati a ragionare su come rendere tutto più semplice, fluido, scorrevole, su come snellire la burocrazia e i processi aziendali. Banalizzo: come risolvere un problema da remoto o come organizzare delle riunioni e degli appuntamenti di lavoro, senza muoversi dal proprio ufficio, se non addirittura dalla propria abitazione. Tra l'altro, tutte azioni già attuabili anche qualche mese fa. Dare un senso alle cose. Come detto, siamo scesi di qualche gradino e ciò che prima era prioritario, diventa improvvisamente non necessario. Un abito griffato, una scarpa da centinaia di euro, una borsa di Gucci dell'ultima collezione e tanti altri oggetti diventano magicamente futili. Beni materiali che prima ci sembravano essenziali per dare un senso (apparente) alla nostra persona, per rappresentare il nostro status symbol e per elevarci socialmente, oggi sono semplicemente dei pezzi di stoffa che ci mettiamo addosso per andare a fare la spesa o per buttare la spazzatura. Questo è il significato. Ebbene sì, perché in queste settimane Gucci, Armani e tante altre aziende di moda si sono attivate per produrre beni di prima necessità (mascherine, camici, cuffie, tute ecc.), utili per aiutare operatori e strutture ospedaliere. Offrendo un contributo prezioso all'intero Paese. Non ho alcun dubbio che, in questo caso, nella maggior parte dei casi tutto ritornerà come prima. Ma forse non per tutti. Chissà... Relativizzare i problemi. Quello che pre-COVID-19 ci sembrava un dramma, un problema insormontabile, da qualche settimana è paragonabile al dolore procurato da un semplice pizzicotto. Stiamo imparando a relativizzare ogni cosa. Se in passato, solo chi aveva realmente affrontato veri e propri drammi personali (di salute, familiari o economici) poteva comprendere l'importanza della vita, adesso siamo tutti al livello zero. Ci siamo uniformati e tarati. Quello che ovviamente cambia, di persona in persona, è il modo in cui stiamo affrontando questo stato di emergenza (ne ho parlato qui "C'era una volta...un virus"). Quando tutto sarà finito, o meglio scemato, ragioniamo non una, ma dieci volte, prima di lamentarci su cose poco rilevanti. Mi auguro che ne usciremo, in questo caso spero tutti, più lucidi, più sicuri e più temprati. Dare un senso ai brand e alle aziende. Essere umani è la chiave. I brand hanno un'occasione unica: quella di comunicare i propri valori, la propria etica e per dimostrare la vera natura, nel bene e nel male. Purtroppo, e per fortuna, è in queste occasioni drammatiche che si comprende la differenza tra un'azienda umana e una orientata al mero fattore economico. Si ritorna ad un approccio che mette al centro le persone, ma ancora più in profondità di prima. A tal proposito, ti consiglio di leggere "Human-centric marketing" di Matteo Rinaldi, che tratta proprio questo argomento. Il rapporto umano tra chi rappresenta un'azienda, piccola o medio-grande poco importa, e i clienti, fornitori e stakeholders, diventa ancora più essenziale e impattante. A mio parere dopo questo periodo le relazioni vere e sincere ne usciranno ancora più rafforzate, il resto, invece, sarà il risultato di una pessima gestione umana. Quando l'emergenza sarà finita tutti si ricorderanno dei brand che hanno preso una posizione etica e che hanno aiutato il Paese in un momento di tale difficoltà. Chi è rimasto inerme, o peggio, ha agito con avidità, nel frattempo, senza rendersene conto, avrà perso la fiducia di molte persone. Dare un senso alla globalizzazione e al consumismo. Abbiamo voluto un mondo così globalizzato e, in un modo o nell'altro, ne stiamo pagando le conseguenze. È anche per la globalizzazione che il virus è riuscito a diffondersi in tutto il mondo alla velocità della luce. Siamo tutti lontani, ma tutti vicini. Oriente e Occidente sono ad un passo. Le catene produttive sono allo stremo. Richiediamo sempre più prodotti, sempre più di qualità, in qualsiasi periodo dell'anno e nel più breve tempo possibile. Acquistiamo continuamente anche oggetti, che come anticipato, ci rendiamo conto siano perfettamente inutili o non necessari ai fini della nostra esistenza. Dovremo dare un senso a ciò che siamo come consumatori e come aziende. Il minimalismo è un eccesso, ma si può e si deve ripensare al consumismo e alla produttività in più maniera etica. Dare una senso alla responsabilità sociale e alla sostenibilità. Infine, è arrivato il momento per ragionare seriamente sul nostro rapporto con la natura e con il mondo circostante. Volenti o nolenti, questo periodo ci sta portando a fare un esperimento su quanto è impattante il comportamento di ognuno di noi sul pianeta. La riduzione degli spostamenti (se non per necessità) sta comportando un quasi totale azzeramento del traffico e quindi dell'inquinamento e dei livelli di polveri sottili (secondo Legambiente a Milano si è registrato un -24% e nella provincia di Bergamo un -34%). Tutto ciò impatta positivamente sulla qualità dell'aria e sul clima. Quindi sulla nostra salute e su quella dell'intero pianeta. Quale miglior occasione per dare un senso alle nostre azioni e per ripensare ad una mobilità sostenibile (vedi mezzi di spostamento a basso impatto ambientale, es. Hyperloop) e ad un insieme di soluzioni (vedi telelavoro o Smart working) più responsabili? Io non sono capace di dare risposte alle domande che ho posto, per tale ragione ti invito a riflettere. È un'occasione unica per dare un senso a tutto: è un treno che non passerà mai più. Making sense of a messy world: it's time. Cosa vuoi fare adesso? Leggere l'ultima recensione "Ballando con l'Apocalisse" di Andrea Fontana. Consultare gli ultimi articoli pubblicati nel blog. Curioso per natura, sportivo dalla nascita e testardo per origini. Leggo per crescere e per esplorare nuovi mondi. Amo il marketing, la vendita, il calcio e i viaggi. Adoro i Simpson e sono un divoratore di serie tv. Odio il piccante, la 'nduja, la cipolla e l'aglio. E per questo mi definiscono un calabrese atipico. A causa dell'emergenza sanitaria anche il mondo dell'editoria sta subendo un impatto negativo, per il semplice fatto che tutte librerie sono italiane chiuse e che le case editrici stanno, per forza di cose, anche riprogrammando la pubblicazione di nuovi libri. Secondo Ansa, Il 64% degli editori sta attuando o programmando la cassa integrazione. Il 31% ha cambiato il proprio piano editoriale, tagliando le uscite o riposizionandole nei mesi finali dell'anno I canali trade segnano in queste settimane un -75% di vendite (librerie, online e grande distribuzione). Dati certamente non rincuoranti, ma c'è anche una notizia positiva che riporto con piacere. Noi italiani, come di consueto, nei momenti di difficoltà riusciamo a dare il meglio di noi stessi e facciamo emergere tutta la nostra creatività e capacità imprenditoriale. Ecco che proprio qualche giorno fa è nato "LibridaAsporto". "LibridaAsporto": libri gratis a casa "LibridaAsporto" è una bellissima iniziativa di NW Consulenza e Marketing Editoriale Srl (https://www.ennew.it/it/) che coinvolge le librerie indipendenti e quelle non appartenenti a gruppi editoriali (e che non svolgono già un servizio di vendita online). Dal 30 marzo è possibile ricevere i libri gratuitamente direttamente a casa. Il servizio è gratuito anche per le librerie che hanno aderito all'iniziativa. Tramite questo link puoi visionare le librerie (ad oggi 515) presenti nella lista. Le spese del trasporto sono sostenute da una raccolta fondi di decine di editori che hanno contribuito allo sviluppo di questo prezioso servizio. Di seguito alcuni nomi: Carocci, DeA Planeta, e/o, Fandango, Fazi, Feltrinelli, Il Castoro, Il Mulino, Il Saggiatore, Iperborea, L'Ippocampo, L'Orma, Marcos y Marcos, Marsilio, Mondadori, Mondadori Electa, Nottetempo, Nutrimenti, Piemme, Quodlibet, Rizzoli, Sellerio, Sem, Sonda, Sonzogno, Sperling & Kupfer, Sur. Per maggior informazioni ti consiglio di visitare il sito ufficiale LibridaAsporto, oppure puoi scrivere a libridaasporto@ennew.it. Complimenti alla società per l'iniziativa! #ioleggoacasa #libreriedaAsporto Consigli di lettura? A questo link trovi un articolo in cui riporto 11 libri, utili a mio parere per affrontare questo periodo. Curioso per natura, sportivo dalla nascita e testardo per origini. Leggo per crescere e per esplorare nuovi mondi. Amo il marketing, la vendita, il calcio e i viaggi. Adoro i Simpson e sono un divoratore di serie tv. Odio il piccante, la 'nduja, la cipolla e l'aglio. E per questo mi definiscono un calabrese atipico. C'era un volta... un virus che bloccò il mondo. Tutto si fermò. Un virus così veloce da spostarsi da uno Stato all'altro e da persona a persona con una facilità disarmante. Mai come a quei tempi Oriente e Occidente furono così vicini. Ci si rese conto che ciò che accadde lì, in Oriente, così lontano, si espanse a macchia d'olio anche qui, in Europa. Fu devastante soprattutto per molti Stati che non ebbero la capacità, o meglio la lucidità, di prendere decisioni rapide ed efficaci, per il bene e per la salute del loro Paese. Quel virus ci rese tutti uguali (un po' come la "livella" di Totò) e fece emergere tutta la nostra vulnerabilità, per alcuni sconosciuta. Democratizzò le persone: proprio perché intaccò persone note, un Principe, autorità di ogni genere, medici, esponenti del Governo di tutto il mondo ecc. Figure intoccabili, invincibili e imbattili, si dovettero ricredere. Mise in discussione tutte le sicurezze create fino a quel momento. Quelle di un mondo veloce, ultratecnologico, iperconnesso, fatto di spostamenti continui grazie ad aerei e treni velocissimi, di macchinari di ultima generazione, robot capaci di fare qualsiasi cosa, persino di operare le persone, auto autonome e il 5G che sembrava pronto a fare il suo ingresso nel mondo. Ma prima arrivò il COVID-19 e ci fece tornare con i piedi per terra. Un virus che stravolse la nostra vita: le abitudini, i rapporti sociali, il lavoro e la nostra quotidianità. Strade desolate per settimane in giornate incredibilmente soleggiate fecero da contorno ad una situazione quasi apocalittica. Il silenzio assordante, tipico di quei giorni, veniva rotto solamente dalle sirene delle ambulanze e della polizia. Nient'altro. Le saracinesche di bar, ristoranti, palestre e attività rimasero abbassate per mesi. Ad esclusione di farmacie, supermercati, panifici, edicole e tabacchini. Le persone di tutto il mondo si chiusero in casa per diverse settimane, in alcuni casi anche per mesi. Alcune aziende chiusero gli uffici, altre diedero la possibilità alle persone di lavorare dalle proprie abitazioni, altre ancora ebbero l'obbligo di continuare a produrre per il bene delle persone. Le vite frenetiche di uomini di affari vennero completamente stravolte. L'agenda del business man tipo passò da continui appuntamenti, visite a clienti, inutili e continue riunioni ad attività quotidiane spontanee, semplici, ma non per questo banali. Divennero giornate preziose in compagnia della propria famiglia, anche se in alcuni casi, ovviamente, qualcuno le passò in solitudine. Qualche videochiamata ci permise di sentirci tutti più vicini, ma divisi da uno schermo. Fu un periodo delicato per tutti, perché ognuno noi fece i conti con se stesso. Andiamo ai protagonisti di questa storia: un pessimista, un ottimista, un realista e un opportunista. Il pessimista cadde in depressione ed entrò nel panico più totale. A tal punto che pensò anche di abbandonare tutto ciò che costruì fino a quel momento. Dimostrò di non sapere affrontare le avversità e di vedere il lato positivo. Durante quelle settimane di isolamento smise di vivere, di provare emozioni, di viaggiare con la mente, di esplorare, di imparare, di capire come vedere la luce dopo il tunnel. Intere giornate a piangersi addosso, a leggere notizie false e disastrose. L'ottimista, invece, ebbe una visione proiettata principalmente su come gestire la propria vita e il proprio lavoro una volta fuori dall'epidemia. Visse quei giorni con la speranza che dopo qualche mese si sarebbe risolto tutto e che, per lui come per tanti altri, avrebbe rappresentato un momento di ripartenza. Quasi una rinascita. L'approccio fu quello di una persone che, nonostante le gravi perdite economiche, riuscì a guardare il futuro con lucidità, quindi con sano ottimismo. Le settimane di isolamento, per lui, furono un modo per godersi i propri familiari, studiare, analizzare e programmare per non farsi trovare impreparato. Il realista valutò tutto con grande precisione e dedizione. Si affidò a fonti certe per comprendere quale fosse la strada più plausibile su come e quando uscire dell'emergenza sanitaria. Il realista manifestò un equilibrio mentale impeccabile: non si fece trasportare dalla emozioni né positive né negative. Nonostante l'epidemia fosse palpabile, affrontò tutto con grande serenità. Ne approfittò per formarsi, studiare, pianificare il futuro e per radicare nuove sane abitudini e per mantenere la mente fresca e allenata. L'opportunista, ovviamente, non perse occasione per lucrarci e cercò ogni giorno di capire come guadagnare sempre più soldi, con l'obiettivo di diventare sempre più ricco grazie al COVID-19. Tra tutti, è quello che vide maggiormente crescere il suo conto in banca e, per pavoneggiarsi, passò intere giornate a sorseggiare discutibili Mojito nella sua imponente villa con piscina. Grazie al web vendette qualsiasi cosa a prezzi esorbitanti: dalle mascherine all'Amuchina. Da buon manipolatore puntò dritto sulla fragilità delle persone. Ci riuscì. Che fine fecero dopo l'epidemia? Il pessimista, ci mise mesi per riprendersi ed ebbe un contraccolpo così forte che perse tutto per colpa della sua negatività e della mentalità autodistruttiva. Non si preparò a sufficienza per ripartire e si trovò impreparato. Finì per andare dallo psicologo. L'ottimista, già perfettamente pronto, iniziò la sua vita lavorativa e personale con invidiabile positività. Seppur le perdite siano state ingenti, si rimboccò le maniche e vide la sua vita migliorare perché si rese conto di quanto fossero importanti le piccole cose: un abbraccio, un caffè con un amico, un gesto verso un proprio caro. Tutte azioni, in passato, ritenute scontate. Il realista, il più imperturbabile, ripartì subito e comprese immediatamente la situazione. Il 2020 fu un anno complicato, ma neanche questo lo sconfortò. Capì che i momenti disastrosi, spesso, rappresentano un nuovo inizio, un'opportunità per migliorare e per eliminare il superfluo. La vita smart lo ha temprato, formato e per questo affrontò tutto con grande lucidità e coraggio. L'opportunista rimase completamente solo. Tutti si ricordarono della sua avidità e fu deriso da ogni singola persona con cui ebbe a che fare dopo l'emergenza. Quando tutti tornarono lucidi, nessuno si fidò più di lui. Finì per fallire definitivamente e si tolse la vita. Fine. L'obiettivo di questa storia inventata era quello di farti riflettere. In questi giorni tutti noi ci mostriamo per quello che siamo, come ci approcciamo alla vita e alle avversità. Per cui possiamo immedesimarci, più o meno, in uno dei quattro approcci alla realtà attuale. Abbiamo l'opportunità di gestire questo periodo, e quindi le nostre giornate, nel miglior modo possibile. Dobbiamo considerarci tutti come un'auto che dopo tanti km alle spalle, tante avventure e una vita a viaggiare con la quinta marcia, ha semplicemente bisogno di fermarsi. Fino a qualche settimana fa, le nostre pause rappresentavano tanti piccoli pit-stop giornalieri: velocissimi, sfuggenti. Il minimo tempo indispensabile per poi ripartire con l'acceleratore schiacciato al massimo. Questo perché vogliamo e pretendiamo di essere sempre produttivi, ma la nostra macchina (fisica e mentale) rischia di bruciarsi e di andare in tilt. Ecco perché è il momento ideale per effettuare di lavori di manutenzione: cambiare la carrozzeria, migliorare le prestazioni del motore, sostituire alcuni componenti danneggiati, aggiungere il gasolio e, infine, approfittarne per dare una bella pulita interna ed esterna. Queste settimane possono rappresentare dei momenti preziosi, di cui paradossalmente, un giorno ricorderemo anche i fattori positivi. E tu chi sei? Il pessimista, l'ottimista, il realista o l'opportunista? Curioso per natura, sportivo dalla nascita e testardo per origini. Leggo per crescere e per esplorare nuovi mondi. Amo il marketing, la vendita, il calcio e i viaggi. Adoro i Simpson e sono un divoratore di serie tv. Odio il piccante, la 'nduja, la cipolla e l'aglio. E per questo mi definiscono un calabrese atipico. “La disinformazione durante le epidemie di malattie infettive potrebbe rendere più gravi questi focolai” Julii Brainard. Abbiamo un problema ben più grave e virale del Coronavirus. E ne siamo tutti responsabili, nessuno escluso. Ma di cosa precisamente? Infodemia: l'epidemia della disinformazione Attualmente ci sono due epidemie: una è ovviamente quella legata all'allarmante situazione epidemiologica, di cui se ne parla 24 ore su 24. La seconda, ancora più contagiosa ma meno dibattuta, è relativa all'epidemia delle fake news. Questa "malattia" ha anche un nome e si chiama: infodemia, parola coniata dall’Oms (da qualche giorno è stata inserita anche su Treccani.it) e oggetto di discussione nei documenti ufficiali degli ultimi giorni. Viene definita come: "Sovrabbondanza di informazioni - alcune accurate e altre no - che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili e indicazioni attendibili quando ne hanno bisogno". Nel primo caso, è necessario ascoltare i consigli delle istituzioni e prendere tutte le precauzioni possibili per non contagiare o per non essere contagiati. Ma soprattutto è fondamentale rimanere a casa ed uscire solo per reali necessità. Mi pare sia oramai chiaro (ma a quanto pare non a tutti). Nel secondo caso, il problema è che proprio stando a casa si possono fare dei danni, forse, irreparabili. L'infodemia è ancora più virale e contagiosa dell'epidemia. La diffusione delle fake news viaggia alla velocità della luce e può avere delle ritorsioni a livello psicologico in molte persone: può generare ansia, panico, angoscia e depressione. Può causare confusione e inutili isterie. La disinformazione non è altro che una distorsione della realtà, una narrazione errata di quanto sta realmente accadendo. E la si deve combattere. Tutti noi lo dobbiamo fare. Dobbiamo combattere gli analfabeti digitali, perché di questo si tratta. Che non è un insulto, ma di una scarsa, o limitata, conoscenza delle regole e delle dinamiche digitali. Mai come in questo periodo, è necessaria una cultura orientata alla comprensione delle fonti su internet, dei siti veritieri e forse in molti casi, sarebbe utile un maggiore impegno, da parte di alcune persone, nella comprensione del testo. Sembra banale, ma tutti noi dobbiamo avere un'estrema lucidità nell'approcciarci all'informazione e ai dati ufficiali, in maniera realistica. Non ho detto volutamente ottimistica o pessimistica, ma realistica. Poi, mi sembra ovvio che l'approccio debba essere propositivo e tutti noi ci auguriamo di ritornare presto alla normalità, ma non bisogna cadere nell'errore di sottovalutare o sopravvalutare la situazione. Di seguito riporto alcune informazioni false che stanno girando in queste settimane. Ce ne sarebbero a decine, purtroppo, ma ho selezionato le più "bizzarre". Le fake news più bizzarre di queste settimane
L'epidemia delle fake news si diffonde più velocemente del virus Anche solo inviare una notizia falsa ad un amico o in un gruppo su Whatsapp, postarla su Facebook, può alimentarne esponenzialmente la diffusione. L'errore che compiamo, negli ultimi decenni, a causa di un errata interpretazione dell'informazione digitale è quella di fidarci del nostro "amico di merende" o del "cugino", piuttosto della fonte originaria della notizia. "Se me l'ha inviato mio cugino, allora ci credo". Se ci pensiamo, prima dell'avvento del digitale, le uniche fonti di informazione erano televisione, radio e giornali. Erano delle vere e proprie istituzioni. La tv, oggi, è peggiorata clamorosamente (a parte qualche rara eccezione), per cui ci rimangono radio e giornali, cartacei e online. Ma bisogna fare un'accurata selezione. Oggi, se per gioco uno di noi aprisse un sito il cui dominio è simile ad un noto giornale (es Ansia.it), ma ricco di fake news, avrebbe migliaia di click (detto clickbaiting) e condivisioni da persone convinte di leggere la notizia dal sito originale. Ad esempio Repubblica, ha un alter ego (simpatico e non illegale) che si chiama Refubblica. Il sito è volutamente ironico e, a mio parere, geniale. Il problema è che molti non capiscono nemmeno la natura del sito. Bando alle ciance... Basta navigare sui social, anche solo per 15 minuti, per comprendere come pochissime persone non si soffermano a leggere interamente le notizie, a comprendere le fonti e il testo (cosa non scontata). Queste persone sono pericolosissime. Spesso, molti commenti ai post sui social sono assolutamente in contrasto con quanto riportato nella notizia e i motivi sono sostanzialmente tre: 1 - Non si è neanche aperto l'articolo; 2 - Non si è compreso il contenuto (cosa grave); 3 - Si tratta di un troll, ovvero chi "interagisce con messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso e/o del tutto errati, con il solo obiettivo di disturbare la comunicazione e fomentare gli animi". (Fonte Wikipedia). La sindrome FOMO (Fear of Missing Out) Il tema delle notizie false, purtroppo, è molto dibattuto da anni e per varie ragioni non è stato per nulla debellato, nonostante gli sforzi. I principali social network e le autorità competenti combattono giornalmente per diminuire il numero di queste notizie e per cancellare profili falsi, pagine illecite e siti non affidabili. I primi responsabili, ovviamente oltre noi, sono i canali di informazione. La cosa che mi più sta facendo pensare in questo periodo, è che mai come in queste settimane, molti media, “giornalai” (ahimè) e alcuni telegiornali, vanno alla ricerca dell’ultima news (spiccatamente drammatica), piuttosto che rassicurare o raccontare la verità. Che, come detto prima, non vuol dire essere ottimisti, ma realisti. La fretta di andare online è la conseguenza naturale di un bisogno collettivo che richiede continue informazioni, dovuto all'ansia di non voler perdersi nulla. Questo ha un nome e si chiama FOMO (Fear of Missing Out). Ecco perché, come detto prima, è necessario avere lucidità nel leggere i numeri e i dati, provenienti da fonti ufficiali: vedi autorità, istituzioni e forse qualche testata (o agenzia di stampa) che ha un solo obiettivo: raccontare le notizie nella forma più oggettiva possibile. Risulta così difficile? Giusto per entrare in tema libri. Un testo più che mai attuale (uno dei più illuminanti che abbia mail letto) è "Factfulness" di Hans Rosling, il quale spiega egregiamente perché bisogna fidarsi dei dati (ufficiali) e non delle notizie "acchiappa-click" o delle fake news. Anzi, ne approfitto anche per consigliarti l'ultimo articolo "La lettura come medicina", all'interno del quale ho consigliato 11 testi utili per affrontare alcune difficoltà tipiche di questo periodo. Cosa stanno facendo le autorità? Il Governo, precisamente il ministro della salute Speranza, ha chiuso un accordo con Twitter per contrastare le fake news, mettendo in evidenza i link e i post ufficiali provenienti dal Ministero. L'Oms negli ultimi giorni sta intensificando i contatti con le principali piattaforme social per contrastare la diffusione di allarmismi e teorie complottiste sull'origine del patogeno, far emergere le notizie provenienti da fonti affidabili e mettere in guardia contro i "rimedi della nonna" che circolano in Rete: soluzioni che non solo non proteggono dal contagio, ma mettono in ombra le precauzioni da usare per arginare la trasmissione del virus (Fonte Focus). I principali social media, invece, come Facebook, Google, LinkedIn, Microsoft, Reddit, Twitter e YouTube, hanno unito le forze e firmato un accordo congiunto per combattere l'infodemia. "Stiamo lavorando a stretto contatto per rispondere al Covid-19.Stiamo aiutando milioni di persone a rimanere in contatto mentre, insieme, combattiamo frodi e disinformazione sul virus, incrementiamo i contenuti autorevoli sulle nostre piattaforme e condividiamo aggiornamenti fondamentali in coordinamento con le agenzie sanitarie di tutto il mondo. Invitiamo altre aziende a unirsi a noi mentre lavoriamo per mantenere le nostre comunità sane e sicure". Così recita una parte dell'accordo (Fonte Repubblica). Facebook, inoltre, pubblica nella parte superiore della bacheca i link tramite cui potersi informare: vedi siti istituzionali e di autorità competenti. Cosa dice uno studio del MIT Mi sono imbattuto in un interessantissimo studio ("Lies spread faster than truth") del MIT (Massachussets Institute of Technology), che purtroppo conferma quanto ho riportato nelle righe precedenti. Le false affermazioni hanno il 70% in più di probabilità rispetto alla verità di essere condivise su Twitter (o su altri social). Questo processo viene definito dal MIT "effetto a cascata" (vedi foto in basso): una cascata di voci inizia su Twitter quando un utente fa un'affermazione su un argomento in un tweet, che potrebbe includere testo scritto, foto o collegamenti ad articoli online. Altri poi propagano la voce ritwittandola. Raramente le storie vere sono state condivise da oltre 1.000 persone, ma l'1% delle storie false è stato condiviso abitualmente da 1.000 a 100.000 persone. E ci sono volute storie vere circa sei volte tanto quanto quelle false per raggiungere 1.500 persone. (Fonte MIT). La foto in basso, facilmente comprensibile, che puoi approfondire tramite il link postato precedentemente, fa emergere come le notizie false (in rosso) hanno una maggiore diffusione, quindi condivisione sui social. I dati si riferiscono ad uno studio su un intervallo di tempo che va dal 2006 al 2017 (basato principalmente su Twitter) e ha visto coinvolte le elezioni negli Stati Uniti o atti terroristi, ma anche altri temi come tecnologia, business ecc. Fonte: Sciencemag. org e MIT Cosa possiamo fare noi? Per concludere, di seguito, alcuni miei consigli personali su come evitare di diffondere le fake news, frutto solo della mia esperienza personale, sia chiaro. Ovvero, cosa faccio io giornalmente. Ci tengo a precisare che l'elenco sottostante rappresenta una ricerca personale, per cui non ho la presunzione di dare informazioni complete al 100%. 1 - Consultare esclusivamente i siti istituzionali per comunicazioni e dati ufficiali: - https://www.interno.gov.it/it - http://www.governo.it/it/approfondimento/coronavirus-la-normativa/14252 - http://www.salute.gov.it/ - https://www.iss.it/ - http://www.protezionecivile.it/web/guest - https://www.who.int/ - https://www.dors.it/index.php - https://www.ecdc.europa.eu/en - https://www.worldometers.info/coronavirus/ - https://opendatadpc.maps.arcgis.com/apps/opsdashboard/index.html#/b0c68bce2cce478eaac82fe38d4138b1 - https://www.arcgis.com/apps/opsdashboard/index.html#/bda7594740fd40299423467b48e9ecf6 2- Per aggiornamenti veloci è utile consultare i siti di agenzie di stampa come ANSA, AGI, Adnkronos ecc. 2 - Usare (e sviluppare) il pensiero critico; 3 - Non condividere se prima non si è verificata la fonte e nel caso, citarla (questo dovrebbe valere sempre); 4 - Segnalare le fake news o profili sospetti su Facebook, LinkedIn e Twitter; 5 - Eliminare profili o amici "tossici" e pericolosi; 6 - Interpretare i dati nella loro interezza e non in modo parziale; 7 - Non farsi prendere dal panico e rimanere lucidi. “La cosa preoccupante è che è più probabile che le persone condividano cattivi consigli sui social media, piuttosto che buoni consigli da fonti fidate”. Paul Hunter Condividendo fake news e informazioni errate possiamo fare del male a milioni di persone. Evitiamo il contagio. Siamo tutti responsabili. Curioso per natura, sportivo dalla nascita e testardo per origini. Leggo per crescere e per esplorare nuovi mondi. Amo il marketing, la vendita, il calcio e i viaggi. Adoro i Simpson e sono un divoratore di serie tv. Odio il piccante, la 'nduja, la cipolla e l'aglio. E per questo mi definiscono un calabrese atipico. In questo periodo così delicato come quello che stiamo vivendo, in che modo posso rendermi utile, magari attraverso il mio blog? La risposta a questa domanda è all'interno di questo articolo. Perdonami se è lungo, ma ho cercato di inserire più informazioni possibili su ogni libro consigliato. La lettura come medicina. Si tratta di 11 letture consigliate, utili per affrontare vari temi incredibilmente attuali: dalla necessità di avere un approccio lucido e realistico nel leggere i dati, alla capacità di instaurare nuove abitudini, all'importanza di gestire il tempo in maniera ottimale, all'importanza di cambiare in un momento di crisi (vale sia per le persone che per le aziende), alla necessità di comprendere i veri valori della vita, all'importanza di attuare un approccio umano da parte delle aziende. Ma soprattutto, è il momento ideale per far emergere il nostro senso patriottico ed è indispensabile restare uniti, in attesa di tornare un'Italia felix (per dirla alla Illy). Generalmente pubblico gli articoli il lunedì mattina, ma vista la situazione ho intenzione di farlo la domenica. Non una domenica qualunque. Perché mai come oggi siamo tutti riuniti, ma ognuno nella propria casa. Oggi, 15 marzo, siamo rinchiusi nelle nostre case e usciamo solo per necessità (anche se a quanto pare non lo fanno tutti). Tutti noi rinunciamo a qualcosa: chi al pranzo dai nonni, chi alla colazione fuori, chi ad un caffè con gli amici, chi al parco con i figli, chi ad una giornata fuori porta, chi ad una vista a musei o città, chi ad una corsa mattutina, chi, invece, ad una lunga dormita dopo una settimana stancante. Mi sembra anche giusto. Bar, ristoranti, palestre e luoghi di aggregazione tutti chiusi. I rapporti sociali sono praticamente azzerati (nucleo familiare a parte). Nelle città e nei paesi regna un silenzio assordante, quasi da film. Mi ricorda qualche spezzone de "Io sono leggenda", bellissimo film con Will Smith protagonista. Qui però non è finzione, è la pura realtà. Tutti noi stiamo decelerando e stravolgendo le nostre vite. Dai bambini agli anziani, tutti subiscono questa fase e per forza di cose dobbiamo adattarci ad una nuova routine. La quotidianità è l'unica sicurezza che ci permette di affrontare le nostre giornate con serenità, perché aiuta a non renderci stressati. Ecco perché tutti noi abbiamo perso ogni certezza e ci sentiamo spaesati, svuotati e impauriti. Ma dobbiamo reagire. L'unica cosa però che non ci mancherà in questo periodo è il tempo. Le persone che non sanno occupare il proprio tempo (magari leggendo, imparando nuove cose o una nuova lingua, facendo sport, annoiandosi o semplicemente rilassandosi guardando un film o una serie) sono quelle che pagheranno maggiormente questa situazione e impazziranno. Emergerà quello che realmente siamo, chi amiamo, cosa facciamo in momenti di solitudine e di difficoltà. 11 libri come medicine Questa è l'occasione per tutti noi per cambiare le nostre abitudini, occupare il nostro tempo in attività utili per la nostra mente e per il nostro corpo. Una di queste è leggere un buon libro. Un libro può rappresentare una vera e propria medicina. Di seguito riporterò 11 libri per affrontare al meglio queste settimane di tristezza, sofferenza e noia. Ogni libro ha un significato e lo vedrai nelle prossime righe. Non possono non partire da uno dei libri più belli in assoluto (detto anche da Bill Gates): "Factfulness" di Hans Rosling e, in seguito, visto che siamo in tema abitudini, parto dal testo più importante sul tema "Il potere delle abitudini". In successione tutti gli altri. "Factfulness" di Hans Rosling Per forza di cose, in questi giorni si parla continuamente del Coronavirus e questo traffico mediatico non fa altro che fomentare ansia e paura. La cosa che mi più sta facendo pensare, è che mai come in queste settimane, tutti i media, “giornalai” vari e telegiornali, vanno alla ricerca dell’ultima news, piuttosto che rassicurare o raccontare la verità. Che non vuol dire essere ottimisti, ma realisti. La fretta di andare online è la conseguenza naturale di un bisogno collettivo che richiede continue informazioni e di non voler perdersi nulla. Questo ha un nome e si chiama FOMO (Fear of Missing Out). Ecco perché è necessario avere lucidità nel leggere i numeri e i dati, provenienti da fonti ufficiali: vedi autorità e forse qualche testata che ha un solo obiettivo: raccontare la verità. Un libro più che mai attuale è proprio "Factfulness" di Hans Rosling, il quale spiega egregiamente perché bisogna fidarsi dei dati (ufficiali) e non delle notizie "acchiappa-click" o delle fake news. Questo libro dovrebbero leggerlo tutti, ma proprio tutti. Trovi l'intera recensione qui. "Il potere delle abitudini" di Charles Duhigg "Il potere delle abitudini" ti insegnerà come un’abitudine si consolida all’interno del nostro cervello, ma non solo, capirai come identificarle e modificarle. Scoprirai che dominare le abitudini non è impossibile e lo puoi fare solo se sei consapevole e motivato a sostituire quelle cattive con quelle buone. La ritengo una lettura a tratti illuminante e una delle più interessanti, relative alla crescita personale, in cui mi sia mai cimentato. Il libro analizza i comportamenti di routine delle persone, delle aziende e delle istituzioni, attraverso racconti e storie di vita reali. Le abitudini sono un argomento molto dibattuto, ma questo testo ha un approccio pragmatico e facilmente comprensibile. Per questo motivo, visto il periodo, può esserti utile per modificare le tue abitudini o per instaurarne nuove, si spera buone. Trovi l'intera recensione qui. "Chi ha spostato il mio formaggio?" di Spencer Johnson Chi ha spostato il mio formaggio? è un’avvincente storiella ricca di insegnamenti e significati, adatta a qualsiasi persona, direi anche ai bambini visto lo stile di scrittura facilmente comprensibile e veloce da leggere. Questo libricino, divenuto un bestseller a livello mondiale, ti farà comprendere l’importanza di fronteggiare i cambiamenti in maniera positiva, o ancor meglio, propositiva. Difatti, la storia si basa su quattro personaggi, diversi tra loro, che affrontano in maniera differente le avversità che si manifestano nel corso della loro vita. L’autore invita a riflettere sul proprio atteggiamento e sulla nostra predisposizione personale, quindi alla velocità nel prendere decisioni, davanti a ostacoli e cambiamenti nella nostra vita. Un libro che tutti devono leggere almeno una volta nella vita. Bastano 60 minuti per immergersi in questa simpatica e significativa lettura! Trovi l'intera recensione qui. "Chi ha spostato il mio formaggio?" - Il seguito - di Spencer Johnson "Chi ha spostato il mio formaggio? Il seguito" è la naturale continuazione della prima edizione (1998). Dopo aver venduto milioni di copie e aiutato migliaia di persone a superare le difficoltà e a fronteggiare i cambiamenti della vita, la nuova edizione riprende l'unico dubbio che ci ha lasciato l'ultima lettura. Che fine ha fatto Tentenna? Ha continuato a vivere passivamente la propria esistenza o ha affrontato la vita con coraggio, ripercorrendo il labirinto in cerca del suo amico Ridolino? Troverà nuovamente altro formaggio? Un altro illuminante libro di Spencer Johson che ti aiuterà a sviluppare la tua crescita personale e ti farà ragionare sull'importanza di affrontare i problemi della tua vita personale e lavorativa in maniera propositiva. Trovi l'intera recensione qui. "Riconquista il tuo tempo" di Andrea Giuliodori Sempre in tema abitudini, ma più focalizzato sulla gestione del tempo, ti consiglio il libro di Andrea Giuliodori (fondatore del sito e del gruppo Facebook "Efficacemente"). Ammetto, purtroppo, di non averlo ancora letto, ma di aver solo sfogliato l'indice e dato un'occhiata veloce ad alcuni contenuti. Andrea, ad ogni modo, è una garanzia. Basta leggere il suo blog per comprendere la qualità dei suoi contenuti e la sua incredibile competenza sul campo. Mi sento di dire che si tratta un testo utile per imparare tecniche sull'ottimizzazione del tempo. Lo leggerò a breve, ma se puoi acquistarlo sul web o se lo hai già a casa, è il momento adatto per iniziare questa lettura! "L'arte della lentezza" di Véronique Aïache Questa lettura ha avuto per me doppio significato, perché è coincisa, per pur caso, con un periodo particolarmente delicato per via dell'emergenza sanitaria legata al Coronavirus. Adesso, che tutto sembra essersi fermato, "L'arte della lentezza" è un libro ideale per affrontare questa situazione inaspettata per chiunque. Il tema del tempo è un argomento sempre molto dibattuto e questo libro offre diversi spunti e consigli su come gestirlo e valorizzarlo. Vivendo in un mondo veloce, frenetico e basato sull'immediatezza, l'autrice richiama all'ordine e alla lentezza. C'è la necessità di decelerare, di pensare e perché no, di annoiarsi. Il nostro lavoro e i ritmi giornalieri inducono il nostro corpo e la mente a lavorare ad una frequenza elevata e questo genera stress, stanchezza, patologie cardiovascolari, depressione e in alcuni casi porta al burnout. Solo decelerando e trovando un equilibrio generale, possiamo tornare a goderci i momenti essenziali della nostra vita e vivere il presente. Adesso lo stiamo facendo, non per volere nostro, tutti noi abbiamo dato un freno alla nostra routine e ci ritroviamo quasi spaesati, svuotati. Trovi l'intera recensione qui. "Ballando con l'Apocalisse" di Andrea Fontana "Ballando con l'Apocalisse" è un libro incredibilmente attuale, visto che stiamo vivendo un periodo a dir poco catastrofico. Ci tengo a precisare che il libro di Andrea Fontana, saggista e sociologo della comunicazione, è uscito prima che scoppiasse l'emergenza del Coronavirus e io stesso lo avevo acquistato oramai un mese fa. "L'Apocalisse è iniziata, non dura un giorno ma anni. È come un virus, latente. Poi improvvisamente si manifesta. E tutto crolla o tutto inizia", queste parole ci suonano così familiari che sembra quasi un racconto di ciò che succedendo nel mondo in questi giorni. L’Apocalisse di cui parla l’autore infatti non è la fine del mondo, ma la fine di un mondo. Siamo in mezzo alla coltre apocalittica. Dobbiamo attraversarla. Tutto può crollare e tutto può iniziare. Tu sei pronto? Trovi l'intera recensione qui. "Il monaco che vendette la sua Ferrari" di Robin S. Sharma Si tratta di un libro molto noto e che ho sempre avuto la curiosità di leggere. L'autore illustra, con una tipica saggezza orientale, come il protagonista del libro sia liberato da futili vizi e da una vita stressante. "Il monaco che vendette la sua Ferrari" è la storia romanzata di un avvocato di successo di nome Julian Mantle, che in seguito ad un attacco cardiaco decise di stravolgere completamente la sua vita. Da uomo di business, stanco, insoddisfatto e votato al lavoro a saggio, felice e libero. Un libro ricco di significati profondi che rappresentano un po' la vita di tutti noi: fatta di impegni, corse contro il tempo, piena di oggetti superflui che riempiono il nostro vuoto interiore e di abitudini malsane. Robin Sharma riporta un serie di regole, consigli e di approcci alla vita, che possono aiutarti a vivere una vita più consapevole. Essere padroni dei propri pensieri e del proprio tempo è il primo passo per un'esistenza ricca e gratificante. Daremo importanza alla libertà, alla felicità, ad un abbraccio, ad un caffè, a qualsiasi cosa che fino a qualche settimana fa ci sembrava scontata, perché eravamo immersi nella nostra routine lavorativa. Trovi l'intera recensione qui. "Human-centric marketing" di Matteo Rinaldi Nella lista non poteva mancare un libro di marketing, ma non uno qualunque. "Human-Centric Marketing" di Matteo Rinaldi è diverso da molti altri libri sul tema, perché affronta il marketing da un punto di vista prettamente umano. Si basa su un approccio che mette realmente al centro le persone, in contrapposizione con la standardizzazione dei consumatori. Medesimo discorso vale per i brand che, mai come oggi, hanno la necessità di mostrare il lato empatico ed emozionale, indispensabile per creare un valore intrinseco che si compie con l'offrire un'esperienza al proprio target di riferimento. Ci tengo a riportare una frase: "Le persone comprano per motivi emozionali e poi tendono a giustificare le loro decisioni d'acquisto razionalmente", proprio perché ogni nostro comportamento varia in base a decine di dinamiche che non possiamo conoscere se non interroghiamo e non analizziamo. In un momento così particolare (ma anche nel futuro prossimo), anche le aziende, i marketers (o chiunque abbia un'influenza sulle persone) devono necessariamente attuare un approccio di questo tipo. Purtroppo, e per fortuna, è in queste occasioni drammatiche si comprende la differenza tra un'azienda umana e una orientata al mero fattore economico. Trovi l'intera recensione qui. "Orientalismo" di Edward W. Said Orientalismo è un prezioso saggio che pone l'attenzione sulla distinzione sia ontologica che epistemologica tra l'Oriente da un lato e L'Occidente dall'altro. L'obiettivo di questo libro è di farti riflettere sulla visione occidentale dell'Oriente, quasi un richiamo all'approfondimento e al pensiero critico. Anche questo è un libro incredibilmente attuale. In questo periodo storico in cui si incolpa la Cina per la diffusione del virus, è necessario fermarsi e smettere di cercare il colpevole, sostenendo tra l'altro fantomatiche teorie complottiste, e attribuendo un dramma mondiale ad un intero Stato. Bisogna comprendere anche il loro punto di vista: cosa provano e cosa pensano di noi. Prima di puntare il dito, è importante mettersi nei panni degli altri. Trovi l'intera recensione qui. "Italia felix" di Andrea Illy Mai come in queste settimane c'è bisogno di un'Italia felix. Proprio in questi giorni è ritornato in auge un forte senso patriottico: inni e canzoni italiane diventano le colonne sonore dei balconi delle città e ci fanno ricordare quanto sia importante, e bello, essere italiani. In una situazione di assoluta emergenza, è fondamentale rimanere uniti ed essere fieri di quello che siamo e che rappresentiamo, a differenza di altri Stati. Italia felix è un libro "effetto caffeina" che intende sprigionare una forte dose di ottimismo a chi lo legge. L'autore è Andrea Illy, noto imprenditore del caffè, il quale analizza in maniera dettagliata, con rigore scientifico, le varie problematiche che attanagliano il nostro paese: dal lavoro, alla politica, all'economia. Italia felix significa, appunto, "Italia felice": perchè Illy crede fermamente in un futuro eccellente e prosperoso per il nostro paese e ne spiega i motivi. Ci sono tante ragioni per deprimersi, soprattutto in questa emergenza sanitaria, ma altrettante da cui ripartire e lo si può fare solo valorizzando i nostri punti di forza: la creatività, la bellezza, la cultura, ma soprattutto la resilienza che ci ha sempre contraddistinti. Trovi l'intera recensione qui. Concludo con un messaggio semplice e chiaro: restiamo uniti nelle nostre case e torneremo più forti di prima. Nel frattempo, buona lettura. Curioso per natura, sportivo dalla nascita e testardo per origini. Leggo per crescere e per esplorare nuovi mondi. Amo il marketing, la vendita, il calcio e i viaggi. Adoro i Simpson e sono un divoratore di serie tv. Odio il piccante, la 'nduja, la cipolla e l'aglio. E per questo mi definiscono un calabrese atipico. |