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Fast or slow?

30/5/2020

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La velocità è la forma di estasi che la rivoluzione tecnologica ha regalato all'uomo. Milan Kundera 
​​By Lorenzo Chininea
Siamo nell'era del tutto e subito. Su questo non ci sono dubbi.

Ma siamo sicuri che "fast is better than slow"?

Abbiamo voluto internet veloce (è in arrivo il 5G), treni veloci, strumenti di comunicazione sempre più istantanei e di conseguenza il nostro cervello si è adattato a questa andatura. Ci sono tantissime ragioni per cui tutto ciò è positivo per il progresso e per risolvere sempre più problemi nel più breve tempo possibile. Ma ce ne sono tante altre, meno tangibili, per cui la velocità non è la miglior soluzione.

"La fretta è cattiva consigliera", ci dicevano in nostri nonni.

Ci dicono che bisogna essere multitasking per essere produttivi e c'è invece chi afferma l'esatto contrario, ovvero che si tratta di un modo per disperdere energie e eseguire lavori con poca accuratezza. Senza dubbio, è il miglior sistema per
sottoporre il nostro cervello ad un carico cognitivo sempre più pesante.

La fretta è la conseguenza naturale di un bisogno collettivo che richiede continue informazioni, magari proprio utilizzando più device contemporaneamente, dovuto all'ansia di non voler perdersi nulla. Questo ha un nome e si chiama FOMO (Fear of Missing Out).

Le nuove generazioni - e non solo - sono l'emblema di questo approccio. Sono sempre più veloci e fanno di questa caratteristica, quasi, una ragione di vita. Lo conferma il successo sempre più esponenziale di social network e app varie oggettivamente basate sull'istantaneità, come Instagram, Snapchat, Tinder, Tik Tok e simili. I teenager si nutrono di velocità e ne richiedono sempre di più. Ogni giorno, ogni attimo.

Ciò che non è veloce diventa secondario e non degno di nota. E la pazienza pare non essere più un dono, ma un difetto.

Di conseguenza molte aziende si sono adattate ai "nuovi" consumatori veloci e a un mondo iperconesso, mentre altre hanno deciso di intraprendere una strada più lenta, ma efficace, basata su radici solide.


Si costruiscono brand o castelli di carta?

Il concetto di brand, proprio per definizione, si sposa perfettamente con i concetti di lentezza e pazienza. "Roma non fu fatta di giorno". Lo stesso vale per le aziende. Ci vuole tempo per costruire una marchio di valore, che possa esprimere fiducia, autenticità e coerenza.

Il posizionamento del brand, in primis, permette di iniziare a creare le radici e le attività di branding e di marketing poi, sono i passaggi indispensabili (non di certo gli unici) per alimentare un processo di crescita e per creare realtà solide, durature e ovviamente redditizie.

Una volta che il brand è forte, allora sì che può permettersi di essere "fast" nel mercato, proprio per allenare l'agilità, fattore indispensabile per mantenersi in vita e per innovare costantemente.

Oggi, però, il concetto di "fast" è divenuto il modus operandi per eccellenza, a priori. Nella maggior parte dei casi viene definito il modo ideale per raggiungere obiettivi tangibili nel modo più rapido possibile, a scapito della qualità.

Si mettono in atto delle tattiche incredibili, che a monte non sono supportate da brand forti.
Si potrebbe definire l'era della lead generation, più che della costruzione di valore. Tante promesse, alcune delle quali false, per generare denaro veloce e contatti. Il web è affollato di false promesse e di offerte incredibili:

"Clicca qui e scoprirai come perdere 30 kg in mese (basta digiunare)"
"Come guadagnare un milione di euro rimanendo comodo sul tuo divano"
"Come raddoppiare il fatturato della tua azienda in 2 settimane"
"Il funnel che che improvvisamente porterà SUBITO 1000 clienti in azienda"
"La crema che ti farà diventare bello come Brad Pitt"
"IL METODO CASA DI CARTA: l'unico sistema per generare soldi"

"Fare promesse e mantenerle è un ottimo metodo per costruire un brand"
ha scritto Seth Godin in "Questo è il marketing". Come dagli torto.

Il "fast" nel mondo fashion

Il mondo della moda sta subendo dei cambiamenti a dir poco epocali. Proprio qualche settimana fa, in seguito alle parole di Armani, rimasi colpito dal coraggio con cui ha preso le distanze da un approccio che, oramai, oserei definire consolidato nella mente di noi consumatori.

A cosa mi riferisco?

Al fatto che tutti noi siamo abituati ad acquistare in note catene che negli ultimi anni hanno cambiato le dinamiche del mondo della moda. Senza fare nomi, in questi negozi non è difficile trovare costantemente capi di diverse stagioni e, inoltre, di mese in mese scoprire sempre nuovi prodotti, con allestimenti che cambiano di settimana in settimana. Se non di giorno in giorno.

Giorgio Armani ha analizzato proprio questo aspetto: “il lusso non può e non deve essere veloce”, perché “il lusso ha bisogno di tempo per essere raggiunto e apprezzato. Trovo assurdo che, in pieno inverno, si possano trovare nei negozi solo abiti di lino, e cappotti in alpaca d’estate, per il semplice fatto che il desiderio di acquistare deve essere soddisfatto”. Infine, conclude con una frase preziosa: “Questa crisi è un’opportunità anche per ridare valore all’autenticità."

A ruota, dopo qualche settimana, si è espresso anche il direttore creativo di Gucci, Alessandro Michele: "
Questo luogo che noi chiamiamo terra, ci ha richiamati all’ordine. In tempo di lockdown mi sono reso conto che siamo andati fuori misura: il ritmo di produzione è diventato insostenibile.”

Riassumendo, emergono tre parole che danno significato ad un nuovo approccio che può davvero cambiare gli equilibri, non solo della moda, ma di tutto il sistema produttivo mondiale: rallentare, sostenibilità e autenticità.

​In questi mesi abbiamo assistito a pubblicità che raccontavano i valori (reali o meno) delle marche: made in Italy, sostenibilità, fiducia, sicurezza, autenticità, qualità e via dicendo. Se all'inizio del lockdown si trattava di ottime iniziative isolate di alcune aziende, nelle settimane successive molte altre si sono adattate, creando dei veri e propri "copia-incolla", in molti casi nemmeno in linea con la reale purpose dell'azienda.

Nonostante, ultimamente la qualità dello storytelling dei brand si sia un po' appiattito, c'è una necessità, piuttosto evidente, di voler riabbracciare i valori intangibili di una volta e di soddisfare, prima di tutto, i bisogni primari.


Per concludere, scomodo nuovamente Godin: “Interagite con la cultura, siate coerenti e pazienti”.

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Curioso per natura, sportivo dalla nascita e testardo per origini. Leggo per crescere e per esplorare nuovi mondi. Amo il marketing, la vendita, il calcio e i viaggi.  Adoro i Simpson e sono un divoratore di serie tv. Odio il piccante, la 'nduja, la cipolla e l'aglio. E per questo mi definiscono un calabrese atipico.

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